Salvatore Paolo Garufi
LA REINA DI SCOTIA
(Riduzione da Federico Della Valle)
1995
LA REINA DI SCOZIA
di Federigo Della Valle
riduzione di Salvatore Paolo Garufi
ATTO :UNICO
Prologo
(Buio sulla scena).
VOCE FUORI CAMPO:
Illustrissima Signora,
~
la Vostra Signoria m’ispirò
pensiero,
tragica l’acerba morte de la Reina Maria di Scozia. Et ecco
che la tragedia fatta se ‘n viene a Voi,
creatore.
anzi il comandamento, di far vedere in forma
Per me,
Alla Signora Vittoria Salara …
suo principio
sarà soverchia mercede il sapere che
fatica mia sia giunta ad esser veduta dai più begli occhi
che si sian veduti mai, e toccata da mani a le quali nulla
può paragonarsi se non la beltà di chi le possiede,
infinita.
riverenza
il
che è
Le cose ch’io direi di Vostra Signoria le lascio
in considerazione di chi conosce lei et il mio affetto; ma
certissimo è che l’altezza dei suoi meriti, e la bassezza
dei miei, mi toglie il potere di dire quel ch’io sento, per
non iscemare la gloria Vostra nel parlarne. E qui con ogni
le bacio le mani … Il primo dell’anno
millecinquecentonovantuno, di Vostra Signoria Illustrissima
servitore più che certo … Fedrigo Della Valle.
Scena I
,le a~oo,]f • ‘
personaggi:
cameriera.
(S’illumina la scena. E’
forse un cortile, forse il giardino di un castello. Si vede
l’evanescente contorno della figura del re di Francia. Maria
sta in ginocchio,
cameriera) .
OMBRA DEL RE DI FRANCIA: C’è un monte ne l’aria, che si
sostiene
s’aggirano
Ombra del re di Francia, Maria di Scozia,
genericamente un esterno,
in preghiera. Accanto a
sulle nubi della tempesta, ai piedi, del quale
le anime, che furono stolte e lente quand’erano
fra voi mortali e continuarono nei loro errori per giorni et
anni, finché errori e vita finirono. Ora piangono gli sbagli
e la lentezza, pur serbando la speranza. Fra gente tale sta
l’ombra ch’or udite e mal vedete. Qualunque cosa vi dicano
di me, ci fu un tempo che fui uno di voi, se
distinse règia corona e manto. Ma che giovò?
tributi e gli scettri, sotto poca terra oscura …
(Maria si alza, va verso l’Ombra come per accarezzarla.
L’Ombra porta avanti la mano per tenerla lontana).
OMBRA: Amai una ch’era donna e reina, e
lei
una
una
non che mi
Cessano i
fu l’amarla
giusto, perché moglie et ossa mie. Ma il dolor di lasciarla,
poiché fu troppo, fu colpa. Così vado errando e,mi dolgo e
così osservo il variabil giro dei mondani successi …
(L’ombra si tende verso Maria).
sooo-,
OMBRA: E te, o mia carne! Te, nata adorna di regia pompa
e d’aureo manto, or cinge, mendìca, miserabile gonna. Tu,
venuta al mondo per regnare, ora, come una serva, dannata da
venti anni di misero martirio, verrai tratta a morire!
cangia e si rovina, da nubi di fortuna, alte e felici,
a dolorosi abissi, senta me, figlia di re,
possente,
ancòra, ora chiusa in mura anguste, ora prigioniera,
a l’altrui forza, a l’altrui voglia …
(La cameriera corre ad abbracciarla e la porta
il,.
dall’ombra).
CAMERIERA:
raddoppiare
inglese,
Spagna,
Se qualcuno voglia intendere il modo in
discesa per lungo ordine da re, e di re madre
Che ricordi duri tornano a la memoria,
il male! Quando il dolore ci afflige e ci
tormenta, pare che pesi assai meno col non parlarne. Eppure,
non può esserci uno che ti accusi, donna e reina mia, per i
tuoi lamenti; né, a maggior ragione, tanto ardisce e presume
questa serva. A me dolermi tocca col tuo dolore, et accordar
al suono dei tuoi sospiri i miei sospiri e il pianto. Ma, se
il vermi dicesti e se il ver dice quel che ne scrive il re,
caro tuo figlio, il qual promette certo la guerra al regno
aggiunte insieme l’armi della Scozia
avrai il sangue e la
Elisabetta, che qui ti tien rinchiusa.
cui si
CAMERIERA:
fino
moglie di re
legata
lontana
a
e della
vita dell’inglese crudele,
(Si scosta da Maria; Giunge le mani in preghiera).
O, se pur l’ostinata guerra aspetti, forse
eooo1l
1a provvidenza divina ordisce a l~i la pena dovuta a tante
colpe, a tanti inganni, a la perfidia,
ribelle e falsa opinione,
(Si volge verso Maria).
ai torti, a la
al falso culto di un’empia
religione nemica al cielo. Mancherà forse alle menti celesti
la fede a le promesse?
CAMERIERA: Il diritto e il vero non rimasero mai vinti.
Et è vittoria bellissima, che ben ristora i danni con fregi
alti di gloria, quella che sorge e nasce dai ~ampi degli
affanni.
MARIA (scuotendosi, a voce alta): La mia vittoria sarà
la sepoltura!
argomenti,
E tu, che sei mossa da fedele affetto,
discorri e cerchi le ragioni del variare delle
cose del mondo, mentre forse altro pensi et altro dici …
Oppure, non ricordi il giorno che vennero a me, quattro mesi
orsono, lord Burckhurst e Robert Beale a togliermi con
superbe parole i segni e gli arredi reali. E fu una così
gran pena parlare con gente tale! Che ricordarlo è mortale
affanno, anzi uccide ogni speranza!
CAMERIERA: Eppure, nulla poi ha fatto seguito in nostro
danno. Anzi, da quel tempo la fortuna ci si è mostrata meno
aspra, e ci hanno aperto a questo posto, da dove possiamo
vedere e spiare almeno l’ombra delle cose di fuori.
quel giorno la fortuna volle far l’ultima prova sulla tua
virtù e dare l’estremo assalto de la sua crudeltà.
crescendo,
Forse
Così,
poggia ogni mortale cosa, e giunta al colmo, si
ferma e scema e cade, e, cadendo e scemando, giunge a la
fine al nulla.
–!;;- ~AjJIA: Io così stimo che sarà di me.
CAMERIERA: Volga, invece, il Cielo in meglio i tuoi
presagi. E sollevi a le speranze l’anima vinta da l’affanno.
(Accorre ad abbracciare Maria).
CAMERIERA: Le speranze sono soave cibo per il cuore
digiuno di bene e già sazio di male.
MARIA: La miseria e la speranza sono nemiche fra loro.
La speranza è lieta e mal germoglia o nasce nel terreno del
dolore.
CAMERIERA:
CAMERIERA:
Ma, se la virtù la irriga, e
il,
la speranza di libertà e ci mandi anche il bene.
nasce, e
cresce, e pasce.
MARIA: Anche la virtù viene arida, .s e non ha l’umore de
la celeste rugiada. E per me, credo, il Cielo ha cessato il
suo celeste operare. E sta fermo. Forse a guardare ciò che
farà alla fine una donna misera e abbandonata.
Che dici, o mia Reina ! Torni il tuo saggio
cuore dove suole stare! In mano, in grembo a Dio, tu lo
riponesti. Dio ch’è vivissima speranza!
MARIA: Riconosco l’errore. Ma, il male che preme toglie
a la memoria il bene. Ne la vita infelice ch’io passo, provo
che malamente il male succede al male. Tale che io non ho
più memoria, né di bene, né di speranza, né di fede.
CAMERIERA: Che Dio ascolti le voci! E non dia soltanto
Concedimi
ch’io riporti a la memoria, persa in lamenti, quel che ti
condusse qui da le stanze chiuse de la prigione.
MARIA: Me ‘n sovviene. E aspetto di vedere andare verso
la porta de la rocca il soldato che procura d’aiutarmi,
I
I
5olo, fra tanti e tanti che fanno argine e muro a vietarmi
la fuga. Egli promise di venire in quest’ora.
appare. Che qualche accidente non recida la sua
cura!
Ma, non
pietosa
CAMERIERA:
aspetterò.
Se lo comandi, passerò io più oltre e lo
Pare malsicuro e dannoso che tu stia qui tanto
lungamente. Forse v’è chi ci vede e non vediamo.
MARIAt E’ vero. Ma, pur mi si concede questo luogo per
respirare il cielo, e più o meno ch’io vi stia non dovrebbe
far sospettare altrui. Pur, se v’è dubbio, io me ne vado. Tu
aspetta qui. E, se viene, già sai quel ch’io vor~ei saper da
lui.
CAMERIERA:
umile.
MARIA:
Lo so.
Anzi,
d’affanni.
I\,
Come si conviene a fedele serva
come a misera compagna di sventure e
(Maria esce di scena.
scompare).
L’ombra del Re di Francia
Scena II
Personaggi: Cameriera, coro.
CAMERIERA: Misera sì, ma misera contenta, poi che la
sorte mi elesse a quella parte che può sostenere un cuore
colmo di fedeltà, colmo d’amore. (Entra il coro delle
cameriere) Ma, voi, figlie, che fate,
Resta dunque sola la reina là entro?
CORO: Ella c’impose di venircene qui fuori a l’aria, al
che tutte uscite?
:aie 80oo1)
cielo. E s’è rinchiusa sola là, ne la stanza più riposta,
dove suole pregare.
CAMERIERA: Le sue preghiere diano pace a l’anima
affannata! Ora vi lascio qui. Farò un giro,
permesso dal capitano custode.
(Esce di scena).
(Entra un servo).
SERVO: Donne, chi mi conduce a la vostra reina? Ove si
trova? E’ forse qui, tra voi?
CORO:
Scena III
Personaggi: Coro, servo.
fin dove è
Non è qui, ma non può neppure essere molto
lontana. La sua fortuna la costringe in un piccolo spazio.
Tu che chiedi? Che porti frettoloso?
SERVO:
custode.
CORO: Ufficio acerbo!
A lei mi manda il mio signore,
SERVO: Ma, è un dolce comandare. Su, io debbo parlare a
la reina.
CORO: Viene la cameriera: parla a lei.
Scena IV
Personaggi: Detti, più la cameriera.
il capitan
—
—
(Entra la cameriera).
CAMERIERA: Amico, a me puoi dire quel che devi dire a
lei. Ed io subito glielo andrò a riferire.
SERVO: Non m’importa nulla di parlar con te o con lei.
Sappia solo che il capitano l’avvisa che son venuti ministri
reali, uomini eccelsi, dei maggiori del regno.
CAMERIERA: E, se son venuti, che importa a la reina
mia? Tornino o stiano come a lor pare.
SERVO: Io credo che così possano fare.
CAMERIERA: Cosi potesse con altri pure chi t’ascolta!
SERVO: Pare che tu sdegnosa mi guardi ~et ascolti;
eppure, porto cose dolci e care a udirsi.
CAMERIERA: L’anima inacerbita dai dolore ci forma
addosso immagini acerbe, o ne la voce, o negli atti e nei
modi; e l’abitudine spesso vince la volontà. Ciò discolpi il
mio parlare. Ma, che notizie porti, ti prego?
SERVO: Il capitano mi manda a la reina …
CAMERIERA: Ciò lo hai già detto.
SERVO (fa un gesto di impazienza): … E sono venuti dei
conti; non so quali, ma sono quattro o cinque …
CAMERIERA: E che dice il capitano?
SERVO: … Che st~ma et ha sentito cose, per cui si può
pensare che rechino l’ordine di liberare la tua reina.
CAMERIERA: O voce soavissima, quanto poco sperata!
SERVO: E proprio perché speri, il capitano mi manda a
la reina con la cara novella!
CAMERIERA: Oh, se sarà vero, il capitano ne aspetti
alta mercé. La mia reina è liberale e grata.
SERVO: Io, spinto da zelo, ho affrettato a mio potere
–!!
il passo, ma non m’ha spronato tanto la servitù dovuta al
mio signore, quanto il desiderio che la reina sentisse tal
notizia.
CAMERIERA: Notizia davvero cara!
SERVO: Vorrei, però, riferirla io stesso, anche perché
ho altro da dire, che altretanto le sarà caro udire.
CAMERIERA: E perché taci?
SERVO (esita un attimo, poi con tono confidenziale):
Sappi che fra noi si tiene per sicuro che il vostro re sia
armato; e così bene che, se la nostra reina non sceglierà
libertà per la madre, userà la forza. Questo fra noi si
dice. Ma, chi lo dice solo fra le labbra p a r La’t La paura è
maestra al silenzio.
CAMERIERA (con tono di speranza): Rientro con due care
novelle, fonti di due speranze. Tu puoi seguirmi, amico, se
ti pare.
SERVO: Quel che senza mio rischio potrò adoprare in
util vostro, tutto farò. Ma, ecco che se ‘vien la reina.
CORO:
Movi da l’auree stelle
Chiara, alta, ridente,
o cara lusinghiera,
o miel soave de l’af~litta mente,
e ‘1 piacer desta, ove ‘1 do lor si cri a
ne la reina mia!
A te parlo, o speranza,
a te, dolce reliquia utile e cara.
I I
Scena V
scale 80001
–f–tJ Personaggi: Detti, più Maria.
(Entra in scena Maria).
MARIA: Convien sperare o no? E che debbo io credere de
la novella?
CAMERIERA: Viene il bene ch’il ciel ci destina e ne
sentiamo gli effetti prima di vedere i segni.
MARIA:
taciturno. Così spesso suole apparirci l’aurora e poi non
Ma, sovente balena e il cielo si rasserena
segue il sole.
CAMERIERA: A me pare, se la speranza è aspettazione di
‘\,
bene, ch’essa più si conviene all’infelice.
MARIA: Vuoi dunque ch’io speri?
CAMERIERA: Lo vuole la ragione!
MARIA (sconsolata): Che, perciò, la mia anima speri ne
la voglia de gli altri, poiché non ha potere la mia volontà!
(Nonostante tutto, si apre ad un sorriso ed abbraccia
la cameriera).
MARIA:
mia patria amata, ònd’ebbero carne queste carni stanche, che
dirò? Che farò? Quale sarà il cuore? Onorerò onorata,
perdonerò,
Se sarà mai che torni a rivedere i campi de la
tornerò il seggio a molti de la prima fortuna.
Ascolterò, risponderò …
(?òc<JO ~~Q, ~~a)
FINE PRIMI\~ f>ftRT’È
— – – –
it
II
Scena I
Personaggi: Coro, Maria, la cameriera.
(Il coro si trova un po’ discosto da Maria che sta con
1a cameriera).
CORISTA (alzando il viso a guardare lontano): Viene un
uomo straniero, con passo autorevole. Voglia Dio ch’egli
venga come una stella amica e sia messaggero del’alba,
del sole, della nostra libertà.
MARIA ( va a guardare): Lo riconosco. E’ già stato una
conoscenza acerba. Non so quel che sarà ~ra;
rivederlo, quel volto mi affligge ancora.
CORO:
Elisabetta.
E ‘ B e a 1 e , i 1 c o n s i g 1 i e r o , l ” a m i c o d e 1 a n e m i c a
Forse per riparare a le passate offese fatte a
la nostra reina, s’è preso il carico d’essere ministro a
un’opera cortese di riparazione.
MARIA: Un’anima bassa e vile malamente può farsi
gentile. Ma, taciamo, poiché egli s’avvicina. Anzi,
meglio ch’io rientri. Il cuore si scuote troppo.
s’adira …
(Maria fa per rientrare nelle sue stanze).
Scena II
Personaggi: Detti, più Beale.
(Entra, però, in scena Beale. Si rivolge a lei).
ma,
anzi
nel
è pur
S’addolora
scale aoo01
BEALE: La mia reina è mossa da l’affanno per le miserie
tue, dove pur ti portarono i tuoi errori, 1~ tue pretese di
regno e
cattolica,
Scozia
giusto,
reina
il tuo ostinarti ne la falsa opinione de la fede
ponendo in guerra atroce fra loro le anime di
e d’Inghilterra. Ora, com’è nel suo diritto e com’è
chiede
d’Inghilterra,
regio manto.
MARIA:
e vuole che il titolo
che tu presumi che a te si debba,
tolto e sia da te negato. E, quindi, spogliati del nome di
e lascia a tuo figlio la corona, lo scettro ed il
Colei che manda e chi viene,
del
p,er quel che
dicono, son egualmente crudeli. E, se crudeli sono chi manda
‘\
e chi parla, io che ascolto sono altrettanto misera. E vivo
mi ritorna a l’anima il gravissimo e~rore per cui prestai
fede a le parole di chi nega la fede nel Dio che la
Ora, ascolta e riferisci. Non debbo togliere a me stessa ciò
che Dio mi diede. Non lo consento. Nacqui, per grazia di
Dio, reina,
morire. Se, poi, lasciare il regno al figlio è opera
ed anche desiderata, essa va compiuta quando Dio lo imporrà.
Né la Scozia è così imbelle, o stolta, che
produrre
quindi che Dio mi riceva da reina,
i suoi re. Non nego ch’io mi pretendo pure reina
d’Inghilterra: il sangue, per cui son donna, a quel regno mi
chiama. Eppure, sè s’impone, per voler comune
regno
ti sia
creò.
se dovrò
dovuta
non basta a
del popolo,
ch’io lasci il mio diritto, lo lascierò. Il popolo si elegga
un re di stirpe migliore, se ne trova di migliori di me, di
Maria di Stuart. Ma, chi mi domanda il consenso a una
religione contro il seggio romano, fa un’empia domanda, ed è
sciocca la speranza dell’assenso.
BEALE (con tono irato): Presto verrà qui chi domerà la
·-
superbia ed il fasto reale di una piccola donna!
MARIA:
può dirsi
deve, poi trovi ciò che non vuole.
BEALE:
reina mia.
una risposta acerba a una domanda crudele non
superbia. E’ giusto che chi cerca
Meglio che le parole siano pari al proprio
stato: altro ha da dire chi serve ed altro chi comanda!
CORO: Serva solo è del giusto anima grande, e servitute
tale è imperio reale.
BEALE: Non sono venuto qui perché mi fossero date nuove
sentenze o nuovi ordini. Fui mandato a udire quel che ho
udito. E quindi a confermare la sentenza di mort~ data da la
(Ha poi un sorriso crudele)
sventurata rispondeva con altre parole,
superba, la sua umiliazione sarebbe stata il mio riso, et a
la pena si sarebbe aggiunto lo scherno.
CORO: Che pensiero crudele e d’anima maligna!
BEALE: Voi, con le parole, giudicate pure il crudele et
il buono dei nostri pensieri. Noi, coi fatti,
su la vita de gli altri. Il comando è la nostra virtù; con
esso diamo un corso a la storia,
inascoltato et inutile di chi scrive e di chi giudica.
(Si avvia ad uscire).
CORO:
Sopra me di disfoghi
l’odio ingiusto e crudele, et il mio sangue
spenga l’ingorda sete
di donna, anzi di furia coronata,
di gemme il capo e l’alma di serpenti.
E ‘
ciò che non
se anche la
umiliando l’anima
giudicheremo
al di là de l’urlo
14 iscale aoao1
se ‘n va il ministro fiero
di reina più fiera.
E porta ne la mente il rio veneno
(e ‘l trarrà per la bocca),
il veneno morta!, che già molt’anni
ci va temprando il Cielo!
Scena III
Personaggi: Detti, meno Beale.
MARIA: Avete udito, amiche, le domande ingiuste. E se
,;,.
la mia morte tarda, non è dovuto a pietà umana,
crudeltà.
CAMERIERA:
è mortale.
MARIA:
ma alla
O a l’incostanza del suo vario stato.
come una febbre che assale con furore vario. Essa rare volte
Così dobbiamo sperare la salvezza,
l’asperità de la tua sorte.
pur ne
Io spero salvezza, ma non quella che tu speri.
Ma, che dici de le domande che hai udito? Che ne stimi?
CAMERIERA:
chi chiama non toglie. La risposta acerba è una medicina per
il dolore di chi ascolta cose acerbe. Quel che io penso e
stimo è che la tua nemica si vede stretta in qualche
rischio, o per tuo figlio, o per il re di Spagna.
MARIA:
Sono domande crudeli. E sono ingiuste.
E’
Ma,
Perciò
tenta di trarre da te quel che può, pima che, sforzata, ti
disciolga e ti sprigioni.
Credo che sarà la mia anima ad essere tolta da
la prigionia.
CAMERIERA: Misera me! Con quali duri presagi mi
‘iscate so;,. “”Il
tormenti la mente!
CORO:
Dolci campi di Scozia e piagge care
de la mia patria amata,
col presagio soave e con la speme
d’anima saggia accorta,
cui raro falle antivedenza vera,
anch’io vedervi spero!
MARIA: Così nel sonno vaneggia il mendicante.
pure; fingi, amica. S’ altro non posso darti, fingerò quel che
f i n g i , c r e d e r ò q u e 1 c h e c r e d i . M a , n e 1 v ero , v e,r r à s o 1 t a n t o
la gloria del mio Signore, non la mia.
CORO:
Il disusato riso, che s’è aperto
ne la tua cara bocca,
or al formar di tai dolci parole,
quanto soavemente a me l’anima ha tocca!
MARIA: Pasciamoci pure d’immaginate larve.
CAMERIERA: Attenta! Torna a lunghi passi il servo che
venne a noi poco fa.
SERVO:
Scena IV
Personaggi: Detti, più il servo.
Spera
(Entra il servo).
SERVO: Reina, mi manda il capitano, per dirti come ora
saranno qui i conti venuti a trattare con te.
MARIA: Vengano felici. Me n’entro a aspettarli.
Per altro mi manda il capitano, a cui par bene
scale so”” “””
che tu scendessi a incontrarli.
MARIA:
nulla?
SERVO: Nulla, invero. Ma gravi cose hanno in mente.
MARIA: Spero che siano pure giuste.
SERVO:
Io qui li aspetto. Ma che portano? Hai udito
L’utile e l’onesto stanno male insieme.
liberarti è cosa giusta, ma forse non utile a una donna
avida del tuo regno.
MARIA: Dio mi aiuti a dar loro risposta!
CORO: La libertà sia il tuo fine.
Scena V
Personaggi: Detti, più i conti.
(Entra il corteo dei conti).
C. DI PEMBROCIA: In quale stato ti rivedo, reina !
MARIA: Questo sia esempio a chi vive e a chi regna.
C. DI PEMBROCIA: In te vedo un esempio di quel che
dici, tale che più vivo non può sembrare il vivo.
MARIA: Merito di chi volle.
C. DI PEMBROCIA: Parli di te, poiché tu sola ne hai
colpa.
MARIA: Così sia! Se l’errore non è di due, la pena vada
soltanto ad una! (Con tono riflessivo) Confesso,
mille colpe e mille mi gravano nell’anima.
condanna non è innocente.
C. DI PEMBROCIA: E’ giusta.
MARIA:
errai.
Il
E
Ma chi mi
La sua giustizia la vedi in me. Io ne sono il
• scale aoao1
testimone, et il giudice, et il reo!
C. DI PEMBRdCIA: Così mi pesa dirti che tu sei anche la
condannata.
MARIA: Lo sono da molti anni.
C. DI PEMBROCIA: Dove cresce l’errore, cresce la pena.
MARIA: E’ una giusta sentenza. Io lo confermo.
C. DI COMBERLANDA (srotola un rotolo di carta e legge
solennemente): Si disciolga dal collo quella testa, e l’alma
voli poi dove deve, e ‘n libertà se ‘n vada, ché ciò le si
concede.
(Tende il rotolo di carta a Maria).
MARIA (vivacemente): Va’ via cor le tue carte!
infedele le scrisse, non più stiano in mano fedele.
e . DI COMBERLANDA: Questo sole,
precipitando già cadere in mare, sarà l’ultimo sole che
vedranno gli occhi tuoi.
MARIA:
l’acuta punta di un ingiusto ferro.
e .
Da troppo tempo vedo pendere sul mio capo
DI COMBERLANDA: Troppo tempo è passato, infatti.
troppi rischi ha corso una testa più degna de la tua. Per
cui, togliamo la vergogna de la reina Elisabetta, contro cui
una donna prigioniera, e misera, e mendìca, tesse frodi, con
pericolo di vita.
MARIA: E’
che
ben vero che un cuore ingiusto,
tu
Mente
vedi
E
stando ad
oltraggiare gli altri, toglie sicurezza a se stesso. La tua
reina, credimi, teme per i suoi errori, non per le arti e le
insidie mie.
C. DI COMBERLANDA: Ardisci ancora gettare biasimo dove
. I
rscaìe SOoo, –––!&– tu devi onori? Vattene là dentro e vedrai se gli er .
rari sono
tuoi o di altri!
(Maria si volge al coro).
MARIA: Amiche,
perdono a lui, che ora mi offese, e a me, che son l’offesa!
(Si avvia ad uscire).
CAMERIERA: Ove vai, reina? Ove vai, mia v,ita? Ove mi
lasci? Crescesti in queste braccia,
morrai, s’hai da morire. Soltanto il ferro ti trarrà da qui,
il ferro che, crudele, s’apparecchia al tuo danno.
me, quel ferro, recida me, e squarci me in mille e mille!
MARIA:
dolore.
CORO:
MARIA:
Madre,
fate che la vendetta sia il pregar
assai lungamente m’hai mostrato che
m’ami. E m’è stato il tuo amore caro et utile, un tempo. Ora
m’è caro e dannoso, perché vedo di darti in cambio pianto e
Perdonami e lascia che me ne vada dove
comanda …
CAMERIERA: Ma, morrò subito dopo di te, o mia reina.
E noi non seguiremo?
Rimarrem vive, noi,
se muore il nostro core?
Se muore la mia reina?
in queste braccia
~
C. DI COMBERLANDA: Fermisi queste donne! E tu, soldato,
vieta loro l’entrata.
O figlie, a Dio. A rivedrei altrove,
libera stanza e più serena. A rivederci in Cielo!
($~P ~Q -0~tll.._) ..
Trafigga
Dio
in più
PARVE
~ III
Scena I
Personaggi: ·Maggiordomo, coro.
MAGGIORDOMO:
d’inghilterra l’uccide!
CORO:
E’ morta la mia donna,
è morta la mia vita.
MAGGIORDOMO:
Muore Maria di Scozia,
Vive ancora,
et Elisabetta
ma de la vita le resta
,\,.
soltanto il fine. Anzi, le restano solo i danni e i mali, di
che è piena la vita.
CORO: Ma che dicono? Che fanno colà entro?
MAGGIORDOMO: Che so io? Tutto è male, tutto è lacrime e
doglia. Tutto è disprezzo e scherno.
CORO: Ahi, empie e crude genti!
Ahi scellerate menti!
MAGGIORDOMO: Ella, poiché dentro venne seguita da la
schiera crudele che avete veduto, essendo giunta a la stanza
più interna, rivolgendo gli occhi, placida e imile, a quelli
che con lei venivano, che autorità maggiore hanno in questa
operazione, ha detto: – Qui, amici, finisca il vostro venire
con me, e lasciatemi sola, per quel poco di vita che m’è
data. Preparate ciò che si conviene per la mia morte,
mi preparo per l’altra vita.
CORO: E dove resta la fida cameriera?
ch’io
MAGGIORDOMO~ la meschina ora rimane sopra un letto, e
sopra lei piange la vecchia serva …
-1
e aooo1)
(Si volge a guardare lontano).
MAGGIORDOMO:
conti,
Ma già di là discende la famiglia dei
e dietro a loro si vedono i ministri con le mazze
argentate.
CORO (si volgono a guardare):
Ahi, che vista acerba e dura!
Mira la mia reina,
mirala in mezzo a duo ministri crudi
con gli occhi fissi al cielo.
Scena II
Personaggi: Detti, più Maria, il mazziere, il carnefice e il
corteo di conti e ministri.
(Entra Maria, seguita dal mazziere e dal corteo).
MAZZIERE (entrando in scena): Traetevi in disparte.
Lascisi il varco aperto a chi viene e a chi segue!
MARIA
figlie care,
amate,
(volgendosi al coro): Io vi domando,
credo,
che queste ossa, da voi un tempo amate,
guida e scorta:
consigli. E’
onoratela, prego,
amiche e
e
ancora, abbiano la sepoltura da le vostre
mani. La mia cameri’era, eh’ io lascio non so come, sia vostra
et ubidite ai suoi
benigna e saggia e v’ama quasi fosse madre.
Amatela anche voi.
CORO:
Per me risponda il pianto,
se non può la parola.
~–I
C. DI COMBERLANDA: Assai s’è detto. Perché si ritarda?
MARIA:
più non posso.
MAGGIORDOMO: Ahi, reina ! Ahi, padrona!
MARIA (volgendosi a lui): Porgimi il braccio!
questa l’estrema opera de la tua servitù cara et amara. E
mal ripagata.
c . DI PEMBROCIA:
MARIA:
Amico, io vado. Ma, chi aiuta le membra? Io di
Porgile il braccio.
E sia
Aiuta la tua
padrona.
MAGGIORDOMO: Io, dunque, ti conduco, o mia reina… ti
conduco a la morte!
Vieni, caro. Vieni con me. Nulla potresti fare
,\,
che mi sia caro più di ciò ch’ora fai.
MAGGIORDOMO: Il petto si serra! Et altro non posso, se
non dolermi.
CAMERIERA: Dove,
l’anima mia? dove la trae la mano rapace et empia? Le va
dietro,
dove se ne va la mia reina? Dove
la seguo, e va a morire con lei. Ahi, piede debole
et infermo, come come mi vedi lenta! Ahi, mio forte dolore,
come mi spingi a correre!
CORO:
Moriam; ma chi ci occide
se ‘l dolor non ci occide?
(Maria ed il carnefice entrano nelle stanze della
prigione).
Scena III
Personaggi: Detti, meno Maria e il carnefice.
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VOCE DEL CARNEFICE: Viva Elisabetta! E muoia chi crede
d’operare contro i suoi giusti decreti, contro le sue giuste
leggi!
(Si sente il rumore dell’esecuzione).
CORO:
La testa, ahimè, la testa,
la testa amata e cara,
s’è ben tinta di morte.
(La cameriera cade svenuta).
MAGGIORDOMO: Io vivo … io vivo! Vive la mia vita et ha
veduta la morte de la mia reina! (Volto alla cameriera)
Solleva,
ascolta.
donna antica, le membra abbandonate. Sollevati et
Appoggiata al mio braccio come l’avete veduta
partir di qui, ha salito lunga scala, fino a un orribile
apparecchio.
un catafalco, e in mezzo a due faci pendeva una forca. La
reina, affannata, s’è tratta questa lettera dal seno.
CAMERIERA: Leggiamola! Sentiamo ragionare dopo la morte
chi tanto dolcemente ci parlava in vita.
MAGGIORDOMO (fra le lacrime, legge): Tua madre muore, o
figlio,
Alto s’ergeva, coperto di panni oscuri e neri
e morendo ti scrive. Siano queste note al posto
delle parole, e questa carta valga per la mano che morendo
ti darei volentieri. Da me sappi soltanto questo: che muoio
consolata perché tale è la volontà di chi mi diede la vita.
Perdona chi mi offende: te lo chiedo per le mie viscere.
Affido a te la mia cameriera a cui resta soltanto
un’immagine di vita. Ma, ora chi vuole la mia vita mi toglie
la penna. Tu, figlio mio, vivi e regna felice. Ti abbraccia
questo cuore con questo poco spirito che gli resta.
CAMERIERA: Ahi, lettera! Ahi, parole!
MAGGIORDOMO: Presi la lettera, lacrimoso e tremante, et
ella fece forza sul mio braccio, per salire il primo gradino
de la scena orribile. L’han presa due vicini a me et,
appoggiata a loro, senza dire altro è salita al sommo. Poi
disse: La vostra reina mi fa dar la morte, perch’io ho
tentato arti et modi per privarla della vita e perch’io ho
fatto ogni opera per uscire dal chiuso in cui mi tiene. Ma,
per quel passo orribile et estremo ove mi veggio: quel passo
che fra poco mi trarrà ad udir il giudice de lç vita e de la
morte, vi dico, amici, che la prima colpa è finta e falsa.
Io nulla mai pensai de la morte di Elisabetta, né giammai la
volli.
CORO:
Accetti Dio ‘l tuo sangue,
o martire reina,
a sua gloria et a tua!
MAGGIORDOMO: Quest’anima prende vigore, nel pensar
ch’ella ora siede beata fra le genti beate. C’era, infatti,
sul feroce palco una donna, io credo moglie di uno dei
guardiani
tinta di
e si è volta a lei con modo benigno e con la bocca
riso: – Sorella! – disse Prendi tu la noia di
aiutarmi a morire. Ripiega la veste et il velo che mi cinge
la gola e dalla nuda al ferro. E quella femmina, lacrimosa,
le ha nudato il collo. Indi, in due passi, s’è accostata
alla terribile falce. La pietosa donna, traendo da la veste
un sottile panno bianco, l’ha ripiegato in giro, e, tremante
.
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e piangente, sopra gli occhi gliel’ha annodato. E, mentre il
nodo stringe, la mia reina dice: – Grazie a Dio ch’io trovo
in Inghilterra chi m’aiuta e chi m’abbia pietà!
CORO: Ahi, che si parte il cor, immaginando!
MAGGIORDOMO: Il feroce ministro, ne vederla tale,
troncato subito la corda da cui pendeva il ferro mortale.
Così, stese le membra da una parte, e da l’altra la testa,
ella è rimasta cadavere tremante, da cui per grosse canne
sgorgava il sangue; e s’è veduta la dolcissima bocca
riaprirsi e serrarsi, graziosa anche nel modo di quella
morte orrenda!
Scena IV
Personaggi: Detti, più il corteo funebre ed il servo.
ha
(Entra un corteo funebre col cadavere di Maria seguito
dal servo).
SERVO: Deponenete il corpo freddo e lasciatene la cura a
chi ha d’averne cura.
CAMERIERA: A me tocca la cura di queste membra care. Io
le trattai vive, le ornai vive; le piangerò e le serberò
morte.
CORO: Tolgasi il panno scuro e srga a gli occhi tristi
vista più oscura!
(Viene aperto il panno).
CAMERIERA: Così dunque ti vedo e così torni a me?
—— –
Maledetta la mano che in simile forma ti rende a me!
CORO: O sostegno, o vita di mille genti e mille!
CAMERIERA (si riscuote): Avrai sepoltura da questa mano,
che doveva essere sepolta, che doveva essere polvere, molti
anni prima di te, prima che questi occhi vedessero il senso
de l’umana natura. Dov’è, dov’è la voce che soleva
consolarmi? Dov’è l’occhio, dov’è lo sguardo che soleva
allegrarmi? Nulla, nulla più sento!
CORO: Nulla, nulla più!