La complicità dell’Etna
di Salvatore Paolo Garufi
Sotto il macigno d’un’estate antica,
con la polvere secca
che stempera di bianco l’orizzonte
l’esistenza non dà sorprese. Va
sui rintocchi dei riti:
morti, pranzi, femmine, soldi, nascite…
molto meno il lavoro.
Ma, se piove, un po’ cambia.
Scende un velo tra i nostri fiati e Naxos
e la sabbia sono scene remote
come i turisti. Mentre Fiumefreddo
diventa un acquerello tutto nostro,
con te, con me, coi veri sentimenti,
coi ciottoli che luccicano vivi,
col mare che ritorna ad intonare
tanti acuti di grigi, come fiamme
d’acqua che s’alzano nel cielo; e spume
candide sulla riva per contrasto.
E noi ci amiamo, macchie di natura
col verde delle foglie, i rami scuri,
il giallo dei limoni,
ormai fuori dai limiti
del ronzio delle voci d’ogni giorno.
Una volta c’erano almeno le bestemmie
cupe e rosse di rabbia
degli emigranti, i pugni chiusi, l’alito
della rivoluzione, la bellezza
senza grazia delle facce trucidate
dai morsi della vita,
l’armonia di tante
sonorità improvvise, come i fulmini
nei tramonti dell’Etna.
Fioriva intorno, gialla, l’ecatombe
della gramigna secca,
che stava sulle tombe
dei nostri oscuri eroi
morti sparsi nel mondo,
implorando il ritorno.
E sul far della sera
c’erano la preghiera dei cipressi,
i lamenti del vento,
l’arcano del silenzio
sceso sul nostro cuore,
mentre se ne partiva
dal molo della vita,
lenta, la barca del morente sole.
Ora abbiamo compagne dell’amore
questa frescura lieve
della pioggia e la quiete che disperde
le angoscie e le chimere
e si dischiude ad allegrie leggere.