15 – La nostra Patria era il treno, racconto di Salvatore Paolo Garufi Tanteri
Nei vent’anni in cui Rocco Champagne fu lontano dal paese, in giro per il Piemonte a cercar lavoro, si portò dentro tutte le facce dell’infanzia e ogni tanto le tirava fuori ad una ad una, come le olive, per superare la malinconia di quelle giornate forestiere, che scappavano via senza sbalzi o novità. Anzi, senza dargli confidenza!
Quando si fermò a Ivrea, dalle parti di Cassinette, a fare buchi nel ferro delle macchine per scrivere Olivetti, lettera 32 sulla strada che porta a Cuorgnè, finalmente cominciò a fantasticare:
“Con che nomignolo mi chiameranno adesso, quei bastardi degli amici del bar New York, ora che mangio formaggio valdostano?… Rocco Bagnacauda? Rocco Neh? Rocco Champagne?… Chissà!”
Era questa la domanda invariabile che si faceva ogni mattina, tra le sei e le sei e mezza, sull’autobus che lo portava al lavoro.
Altrettanto invariabile era la risposta che si dava:
“Se il pecco me l’ha messo mio compare Mazzacanagghia, anti-iuventino com’è, la risposta è facile… Rocco Merde! A me, invece, piacerebbe Rocco Champagne!”
Andò così finché non conobbe Colette. Con lei, almeno, faceva all’amore di tanto in tanto, scordandosi del paese.
Quindi, se la sposò e pensò di fermarsi per sempre in una piccionaia in cima a un condominio che guardava il lungo-Dora.
Non durò molto. Colette era quella che era, una perbenista valdostana che buttava fango sui Napuli e su tutti i siciliani…
“Gente brutta!” diceva. “Gente malvagia! Mafiosi e sporchi!”
Così, i fichidindieti, gli aranceti, gli uliveti, la pasta coi finocchi, i cannoli di ricotta, gli arancini al ragù e l’intero dizionario di parolacce che, quotidianamente, più del Sole, gli scaldavano il sangue… Rocco se li nascose nel cuore, come reliquie dentro un santuario.
E nascose pure i volti degli amici del bar. Soltanto di Mazzacanagghia parlava qualche volta alla moglie, ignorandone l’aria disgustata… perché, degli amici, Mazzacanagghia era il più amico…
Tutto questo finché nacque Lia, cioè la bambina che gli diede Colette. Il paesaggio natio, Mazzacanagghia e il bar, a quel punto, diventarono sfumature lontane, presenze impalpabili e impronunciabili… fantasmi sotto il grigio cielo eporediese, dove manco i temporali avevano passione… Checché ne dicesse il famoso Carnevale, con tutte le sue battaglie a colpi di arance!
Un brutto giorno, però, la piccola Lia andò a finire sotto le ruote di una macchina sulla strada che dalla stazione porta a piazza Camillo Olivetti. Così, egli se la riportò a casa, come fosse un gattino morto sul selciato.
Due mesi dopo morì pure il suo matrimonio. Colette andò via con un olandese – mezzo marinaio, mezzo delinquente… – e poi finì in una casa equivoca di Malta, ancor più giù della Sicilia!
Che doveva fare Rocco, a quel punto?
Vendette tutto e si mise in viaggio per tornare al paese.
Arrivatovi – con la valigia in mano e un ritorno del sorriso antico – si emozionò guardando le pietre e le inferriate panciute dei balconi. Tutto era rimasto identico a come l’aveva lasciato.
Andò al bar New York e la prima persona che vide fu proprio Mazzacanagghia. Aveva gli stessi pantaloni e la stessa camicia di vent’anni prima.
“Mazzacanagghia!” gridò Rocco.
Mazzacanagghia lo guardò con un’espressione interrogativa.
“Mazzacanagghia, non mi riconosci?”
Con le mani gli strinse le braccia e prese a ridere, guardandolo negli occhi.
“Sono Rocco… Rocco… il piemontese!”
“Sssì… certo!” disse Mazzacanagghia, facendo vedere lo sforzo della memoria.
Poi, si grattò il naso ed aggiunse:
“Ma, che ci fai con la valigia appresso?… Devi partire?”
Avete capito, signori, perché Rocco Champagne due ore dopo si suicidò?
Non volle neppure andare a casa di suo fratello Carmelo. Andò direttamente nella campagna vicina al cimitero.
Ma, prima di saltar giù con la corda al collo, si rivolse a Dio:
“Spero che almeno tu, poi, ti accorga di me… se non altro per il cattivo odore!”