Avendo vissuto buona parte della mia vita negli stessi luoghi del giovane Brancati, probabilmente annoiato come lui – o, più probabilmente, gregario rispetto al particolare bullismo che vi imperversa – non addebiterei al fascismo questo suo culto della forza fisica. Una lunga abitudine alla sconfitta ed al servaggio, infatti, ci ha resi più ammiratori della forza che forti. Come tutti i Sancio Panza siamo le scimmie dei don Chisciotte del Potere: ne copiamo i modi senza capirne i contenuti
Un sonetto di un diciassettenne Vitaliano Brancati (aggiustato nella metrica da Salvatore Paolo Garufi Tanteri, perché arrivato fino a noi nella sgangherata trascrizione del canonico don Mario Ventura, improvvisatosi storico locale.
Autunno
(nella valle di Lordiero)
Dentro il sommesso gemito dell’onda
si chiude un sogno musicale e lento,
brilla il cielo lontano tra fronda e fronda
vago di non so quale incantamento.
Più roco canta dentro la profonda
selva di pini e di cipressi il vento,
cade silente qualche foglia bionda.
Tutto muor con tenue lamento
su le siepi serrate ad oriente
sboccia la Luna. Simile ad un altare
levasi un poggio verde, vagamente
canta sui colli l’autunno e il mare
riproduce il miracolo del cielo
dove l’oro incomincia a dileguare.[1]
[1] Sonetti a Militello, in Don Mario Ventura, Antologia militellana, La Nuovagrafica, Catania, 1979, pp. 7/8.