Salvatore Paolo Garufi

La massoneria siciliana e l’opera di Vincenzo Natale (1781 – 1855)

Alle origini degli odierni imperi finanziari

Introduzione

C’è spesso un perché, quando si scrive

I

Natale, Alfio (Militello, 1757-ivi, 1826), giurista. Rimasto orfano del padre a tre anni, su di lui ebbe un’influenza notevole l’energico esempio della madre, donna Giuseppa di Castro. Fece i suoi primi studi nel seminario vescovile di Catania, scuola su cui allora si rifletteva il prestigio del vescovo, mons. Salvatore Ventimiglia. Già in quegli anni Natale evidenziò la tendenza ad analizzare nel concreto la natura  dei problemi, prediligendo lo studio della storia e della geografia a quello della letteratura.

Si iscrisse, perciò, alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Catania, laureandosi a diciotto anni. Successivamente, si trasferì a Palermo per approfondire la sua preparazione ed esercitare la professione di avvocato; ma, dopo appena due anni, venne richiamato a Militello dalla madre, per necessità determinata dagli interessi familiari. Gli impegni, però, non gli impedirono di entrare in magistratura ad appena ventuno anni, prima dell’età richiesta, ricoprendo le cariche di capitano giustiziere e di giudice civile, criminale e fiscale. Fece parte, inoltre, di tutte le deputazioni amministrative e fu giudice consultore a Scordia.

Il momento più alto dell’attività professionale di Alfio Natale, però, è legato alla controversia che oppose il barone Alfio Corbino al principe di Butera. Nella Sicilia feudale, infatti, v’era una lunga serie di angarie e di privative (di fatto, monopoli baronali), che soffocava ogni libera imprenditoria. Si ricordano, per esempio, la gabella della dogana, accompagnata dalla privativa di aggiustare pesi e misure (catapanato), la stadera sulla vendita dei formaggi e delle carni, che gravava sia sugli allevamenti in città sia su quelli fuori dalle mura, la linusa sull’olio di lino con l’unita privativa di estrarlo privatamente (parallela alla gabella dell’oliveto e relativa privativa sui trappeti), la aratati, ch’era un’imposta sulle giornate d’aratro, la bardaria, una privativa sulle bardature degli animali, la baglia, ch’erano dei diritti sull’attività dei ministri e delle forze di pubblica giustizia, La quartarunata, infine, era l’imposizione di sei tomoli di frumento e due di orzo per ogni bue od altro animale che arava dentro o fuori il territorio.

Sulla quartarunata, appunto, era scoppiata la lite tra il barone Corbino ed il principe di Butera. Secondo il codice del principe Branciforti, infatti, i “primari” cittadini ne andavano esenti e perciò il barone si affidò al Natale per opporsi al pignoramento ordinato dal segretario (segreto) del principe. Il Natale colse quest’occasione per attaccare tutte le angarie e le privative e, insieme a altri due avvocati, Antonio Ciraulo di Patti ed Emanuele Rossi di Catania, fece accurate ricerche d’archivio a sostegno delle sue ragioni.

Il momento storico gli fu propizio, poiché già il vicerè Caracciolo aveva condotto il suo attacco ai privilegi feudali ed il vicerè del tempo, il principe di Caramanico, intese continuarne l’opera. Quindi, la sentenza, emessa nel 1795, fu favorevole al barone Corbino ed al nostro Natale, anticipando l’abolizione della giurisdizione feudale in Sicilia, che avvenne nel 1812.

Peraltro, l’alto ingegno del Natale fu apprezzato dal suo stesso avversario, il principe di Butera, che finì per nominarlo suo segreto baronale a Militello.

Natale, Sebastiano (Militello, 1801-ivi, 1822), medico. Fratello dello storico Vincenzo Natale, fu un’intelligenza precoce, poiché già a dodici anni aveva una buona preparazione nelle lingue e nelle letterature latina, greca, italiana e francese. A sedici anni aveva realizzato un sunto del sistema di Linneo e nella chimica aveva vinto il premio dall’Università degli Studi di Catania, per voto del prof. Maravigna. Ancora adolescente quindi, si laureò in medicina e dette tali prove della vastità dei suoi interessi da meritare l’amicizia del famoso conte Brocchi, a cui fece visitare i dintorni di Miitello ed il lago di Naftia.

Natale, Vincenzo, il Giovane (Militello, 1781-ivi, 1855), politico e storico. Alla sua attività di patriota e liberale, purtroppo, mancò la soddisfazione di vedere l’Italia unita, ma contribuì non poco alla formazione di una coscienza nazionale, con l’esempio e con gli scritti. Dal 1812 al 1814 fu segretario del Parlamento siciliano e dal 1820 a 1821 ricoprì tale carica in quello di Napoli. Fu, ancora, intendente di Siracusa. Nel 1848 (l’anno delle Rivoluzioni europee) fu deputato a Palermo, dove pure diresse “L’osservatore”, battagliero periodico politico. Fu, inoltre, cospiratore ed esule per motivi politici. Della sua opera di storico (che venne lodata da Ettore Pais e da Carlo Gemmellaro) ci restano: Sulla storia de’ letterati ed altri uomini insigni di Militello nella valle di Noto Discorsi tre, Napoli, tipografia di Francesco Del Vecchio, 1837;  Discorsi sulla storia antica della Sicilia (di quest’opera venne pubblicato il primo volume nel 1843, presso la tipografia di Francesco Del Vecchio di Napoli, mentre il secondo ed il terzo rimasero inediti); i saggi, apparsi nella rivista dell’Accademia Gioenia di Catania, Riflessioni per lo stato di Sicilia e Prosperità dell’isola all’epoca greca.

Natale, Vincenzo, il Vecchio (Militello, 1720-ivi, 1760), medico. Fu lodato dal suo omonimo nipote, illustre storico dell’ottocento, per l’ottima preparazione professionale e per il pregevole interesse scientifico attestato dalla sua biblioteca. Dal matrimonio con Giuseppa di Castro nacque un solo figlio maschio,  il giurista AlfioNatale.

II

Verrebbe da chiedersi se raccontare alcune vicende di dimenticati intellettuali e di eroi fuori-corso non faccia parte della patologia del disagio contemporaneo. Ma, bisogna pure avere qualche opinione politica storicamentee motivata, se non altro per tirare la paga per il lesso. Ecco perché sono nati questi racconti, a proposito del gran parlare che si fa di sovranismo, patriottismo, comunismo, indipendentismo, autonomismo, massoneria, carboneria e mafia.

In ogni caso, mi sembra che i protagonisti di queste pagine, avessero al riguardo buone idee. Per questo, un pensiero lo rivolgo alla memoria di Giovanni Garufi, mio padre, che mi ha insegnato l’orgoglio di restare fedeli a noi stessi.

Pur nello sfracelo etiopico del 1943, egli sognava che un giorno la bandiera italiana potesse tornare a garrire nel cielo di quei posti.

Prima di essere fatto prigioniero dagli inglesi, per non lasciarla in mano loro, l’aveva seppellita nella campagna di Dire Dawa. Lì era stato un emigrante travestito da colonialista, semplicemente felice di guadagnarsi le giornate lavorando nella sua modesta Trattoria Nazionale.

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Pubblicato da terrazze Studio Garufi&Garufi

Salvatore Paolo (detto Rocambole) Garufi ha insegnato Lettere, Storia dell0Arte, Storia e Filosofia nelle scuole statali del Piemonte, della Liguria, della Campania e della Sicilia. Ha scritto opere di narrativa e teatrali ed è autore di monografie su Vitaliano Brancati, George Orwell, Santo Marino, Sebastiano Guzzone, Giuseppe Barone, Filippo Paladini e Enrico Guarneri (Litterio).

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