S. P. Garufi, Storia e Arte a Militello in provincia di Catania (e dintorni) – Cap. I. I protagonisti dei Vespri Siciliani

S. P. Garufi, Storia e Arte a Militello in provincia di Catania (e dintorni) – Cap. I. I protagonisti dei Vespri Siciliani

COSTANZA DI SVEVIA

I VESPRI SICILIANI E LA NASCITA DI MILITELLO NEL VAL DI NOTO

Testimonianze di una comune memoria cittadina ai tempi dei Vespri siciliani vanno cercate nella Chiesa di Santa Maria La Vetere, che già in epoca tardo romana e bizantina era il riferimento di un piccolo nucleo urbano.

Gli scavi, infatti, hanno già fatto ipotizzare all’archeologa Pinella Marchese Viola che essa:

“…si imposta su un complesso rupestre tardo-antico ed altomedievale, con pozzi ed ipogei scavati nella roccia calcarea”.

Di epoca medievale, ancora, è il Castello, del quale oggi restano soprattutto una torre e la porta.

Il primo feudatario di cui ci resta il nome fu Alaimo da Lentini (1071).

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LETTURE

PROTAGONISTI DEI VESPRI SICILIANI

GUALTIERO di Caltagirone

di Ingeborg Walter

Secondo la tradizione raccolta nel Rebellamentu di Sichilia, nel Liber Iani de Procita e nella Leggenda di messer Gianni di Procida (in Rer. Ital. Script., XXXIV1), il C., insieme con Alaimo da Lentini e Palmerio Abate, sarebbe stato uno dei principali artefici del Vespro siciliano.

Queste cronache, posteriori, a quanto pare, di quasi un secolo agli avvenimenti ricordati, riferiscono infatti che i tre baroni già nel 1279 sarebbero entrati in contatto con Giovanni da Procida durante i suoi presunti viaggi in Sicilia per invocare l’aiuto del re Pietro d’Aragona contro l’oppressione angioina. Nel 1282 poi, sempre secondo il racconto delle stesse cronache, avrebbero partecipato a un parlamento convocato dal Procida a Trapani, e in seguito si sarebbero recati a Palermo, dove sotto la loro guida il lunedì di Pasqua scoppiò la grande rivolta.

I pochi dati biografici di sicura attendibilità confermano, almeno nella sostanza, la parte di grande rilievo assunta dal C. nella preparazione del Vespro.

Con il C. si deve identificare sicuramente quel Gualterone di Caltagirone, figlio di Bernardo o Bernardino, in quel momento già defunto, ricordato in un documento della cancelleria angioina del 1270-71. Si tratta del consenso reale al matrimonio di Riccarda di Caltagirone, sorella del C., con Bertrando Buccardo; a Riccarda il fratello aveva assegnato in dote i feudi di Caltagirone e di Favara. Tra il settembre del 1275 e il settembre del 1276 il C. stesso sposò Ioletta, figlia di Giovanni da Lentini, potente nobile siciliano, che nel 1278 diventò maestro portulano di Sicilia e viceammiraglio di Sicilia e di Calabria. Insieme con il suocero e con Palmerio Abate, l’anno seguente (1276-77), il C. venne invitato da re Carlo d’Angiò ad assolvere al dovuto servizio feudale con l’armamento di una teride.

Da tutti questi dati si può presumere che il C. era già allora uno dei più potenti baroni della Valle di Noto. Bartolorneo da Neocastro lo ricorda come signore di Butera, ma da altre fonti risulta che aveva beni a Noto, Siracusa e forse anche a Messina, dove durante la decima indizione, dal 1º sett. 1281 fino al 31 ag. 1282 cioè, aveva in appalto la zecca, insieme con Berardo de Ferro e Russimanno di Nicosia.

E’ sicuro che egli già prima del Vespro intratteneva rapporti con Pietro d’Aragona. A lui e ad altre sedici persone, tra le quali Palmerio Abate, il re indirizzò, il 2 maggio 1281, lettere credenziali per i suoi inviati Gentile da Padula e G. Paleti, certamente incaricati di preparare il terreno per il suo intervento nella politica siciliana. Più difficile precisare il ruolo svolto dal C. durante la rivolta stessa. Da alcuni documenti risulta presente a Messina dopo che la città si era schierata dalla parte dei rivoltosi. Anche se Bartolomeo da Neocastro, testimone oculare degli avvenimenti, non lo ricorda in quest’occasione, il C. non dovette restare completamente nell’ombra. Nell’atto con cui il Comune di Messina restituiva all’arcivescovo il castello di Calatabiani, presidiato in precedenza dagli Angioini, egli figura al secondo posto tra i testimoni, subito dopo Alaimo da Lentini, capitano della città. Lo stesso Alaimo e il Comune di Messina gli concessero, sempre al tempo della communitas, il diritto di esportare una certa quantità di grano in compenso dei danni da lui subiti durante l’assedio angioino di Messina.

Tuttavia, nonostante i suoi precedenti contatti con Pietro d’Aragona, del quale era stato uno dei primi sostenitori, il C. divenne il protagonista della prima grande congiura antiaragonese, motivata indubbiamente dall’amara constatazione che il re non era disposto a dividere il potere con i notabili che l’avevano chiamato. Secondo la testimonianza del Neocastro, piuttosto dettagliata seppure non priva di accenti romanzeschi, i sospetti sulla sua fedeltà sorsero nella primavera del 1283, durante la spedizione aragonese in Calabria, alla quale il C., nonostante ripetuti inviti del re, si era rifiutato di partecipare. Una spia angioina, caduta in mano agli Aragonesi, avrebbe rivelato al re che il C. aveva preso contatto con Carlo principe di Salerno, vicario del padre Carlo I d’Angiò, per consegnargli gran parte della Sicilia orientale e in particolare la Valle di Noto, dove contava numerosi seguaci, appena re Pietro avesse lasciato Pisola per recarsi al duello con l’Angiò. Il 12 aprile il C. si presentò finalmente a Solana, due giorni prima che il re levasse il campo per tornare in Sicilia. Poco dopo i sospetti su di lui si rivelarono pienamente fondati. Mentre il re si dirigeva verso Trapani, dove intendeva imbarcarsi per la Catalogna, gli arrivò la notizia che il C., appoggiato da vari altri nobili della Valle di Noto, si era ribellato. Allarmato dal pericolo di una sollevazione generale della Sicilia orientale, Pietro d’Aragona cambiò itinerario puntando su Caltagirone. Prima di giungervi seppe però che il C. si era asserragliato nel suo castello di Butera e che la rivolta aveva proporzioni più modeste di quanto non era sembrato al primo momento. Decise così di proseguire il viaggio per Trapani e di affidare il compito della repressione al gran giustiziere Alaimo da Lentini e all’infante Giacomo. Ridotte all’obbedienza Noto e Caltagirone e catturati alcuni congiurati, Alaimo raggiunse il castello di Butera per trattare la resa. Il C. ottenne la promessa di essere liberato dall’impegno di accompagnare re Pietro a Bordeaux come uno dei quaranta cavalieri garanti per la parte aragonese del duello che vi si doveva svolgere, e si sottomise all’infante. Ma si trattava solo di uno stratagemma per guadagnare tempo. Appena il re abbandonò la Sicilia, occupò di nuovo Caltagirone. Non riuscì tuttavia a resistere a lungo. Catturato, fu condannato a morte dal gran giustiziere Alaimo e decapitato il 22 maggio 1283 a Caltagirone.

Fonti e Bibl.: A. Amico, I diplomi della cattedrale di Messina, a cura di R. Starrabba, Palermo 1876-1888, p. 126; I capibrevi di Giovanni Luca Barberi, a cura di G. Silvestri, I, I feudi del Val di Noto, Palermo 1879-1885, p. 430; De rebus Regni Siciliae, a cura di G. Silvestri, Palermo 1882-92 ad Indicem; Codice diplom. dei re aragonesi di Sicilia, I, a cura di G. La Mantia, Palermo 1917, ad Indicem;Bartholomaei de Neocastro Historia Sicula, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XIII, 3, a cura di G. Paladino, ad Indicem; Due cronache del Vespro, ibid., XXXIV, 1, a cura di E. Sicardi, ad Indicem; I registri della cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, VI, Napoli 1954, p. 418; XIII, ibid. 1959, p. 140; XVI, ibid. 1962, p. 65; C. Minieri Riccio, Cenni storici intorno i grandi uffizii del Regno di Sicilia…, Napoli 1872, p. 43; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, Milano 1886, I, pp. 265-267, 339, 361, 365 s., 369-372; II, pp. 9 ss.; O. Cartellieri, Peter von Aragon und die sizilianische Vesper, Heidelberg 1904, p. 160; H. Wieruszowski, Politische Verschwörungen und Bündiusse König Peters von Aragon gegen Karl von Anjou am Vorabend der sizilianischen Vesper, in Quellenund Forschungen aus italien. Arch. und Bibl., XXXVII (1957), pp. 143-145, 176.

ALAIMO da Lentini

di Francesco Giunta – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 1 (1960)

ALAIMO (Alaimus, Alaimu, Alamo) da Lentini (di Latino, di Leontino)

Nato, probabilmente a Messina, nella prima metà del sec. XIII, fece la sua prima comparsa nella vita politica siciliana partecipando nel 1254 alla congiura contro Manfredi. Esiliato, si distinse, nel 1268, quale fautore degli Angioini, nella repressione dei seguaci di Corradino; nel 1271 fu nominato consigliere e familiare regio, e nel 1274 giustiziere del principato e del territorio di Benevento. Nel 1279 A. era nuovamente a Messina quale esponente della secrezia.

Con la rivoluzione del Vespro si schierò con i fautori dell’autonomia isolana, sotto la protezione del pontefice. Dopo la sconfitta del 24 giugno 1282, presso Milazzo, del primo capitano di Messina, Baldovino Mussone, venne acclamato capitano della città, che seppe validamente organizzare per resistere al blocco iniziato da Carlo d’Angiò il 25 luglio.

Di fronte all’intransigenza pontificia verso i ribelli siciliani ed al fallimento delle trattative condotte dal legato Gherardo da Parma, nell’impossibilità di difendere validamente da solo l’autonomismo delle Communitates Siciliae e di resistere alla sempre crescente pressione delle forze angioine, anche A., come i Palermitani, decise di rivolgersi a Pietro d’Aragona, che il 22 ottobre lo nominò maestro giustiziere a vita del Regno.

Da questo momento accrebbe sempre più il suo ascendente sui Siciliani e anche per gli intrighi della moglie, Macalda di Scaletta, presso la corte aragonese, ottenne dal re concessioni di feudi, lo accompagnò nella spedizione in Calabria e riuscì a risolvere favorevolmente la prima rivolta antiaragonese di Gualtiero di Caltagirone.

Così che Pietro III, quando tornò in Aragona, affidò a lui la tutela dei figli e della moglie. A. seppe dimostrare la sua fedeltà alla nuova casa regnante col sedare definitivamente la nuova ribellione di Gualtiero, che fece condannare a morte (1283).

Tuttavia la popolarità di A., il suo passato e le intemperanze della moglie, gli suscitarono contro l’accanita ostilità di Giacomo Il e la gelosia di molti. Sotto l’accusa di tradimento, venne fatto partire per l’Aragona (19 nov. 1284), ma finché durò in vita Pietro III, sinceramente a lui legato, l’accusa lanciata senza prove convincenti poté essere respinta.

Morto però re Pietro, Giacomo II ottenne dal fratello Alfonso III credito alle presunte prove di colpevolezza e la consegna di A., che inutilmente chiedeva di essere sottoposto a regolare giudizio. Pertanto, nell’agosto del 1287, A. ed il nipote Adenolfo di Mineo furono consegnati agli inviati di Giacomo, Gilberto de Castelletto e Bertrando de Cannellis.

Sulla nave che avrebbe dovuto ricondurli in patria, fu letta ai prigionieri la sentenza di morte; poi, in vista delle coste siciliane, entrambi vennero buttati a mare.

Fonti e Bibl.: G. La Mantia, Codice diplomatico dei re aragonesi di Sicilia, I, Palermo 1918, pp. 16, 17, 18, 19, 21, 22, 24, 52, 66, 116, 117, 119, 158, 162, 163, 164, 165, 200, 201, 327, 328, 342, 343, 344, 345, 354, 386, 387, 391, 392, 393, 407, 420, 430, 445, 543, 545,560; Bartolomeo da Neocastro, Historia sicula, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XIII, 3, a cura di G. Paladino, passim;Saba Malaspina, Rerum Sicularum… Historia, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., VIII, Mediolani 1726, passim; Due cronache del Vespro in volgare siciliano del sec. XIII, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXXIV, 1, a cura di E. Sicardi, passim; G. Zurita, Anales de la corona de Aragon, Zaragoza 1585, pp. 249, 250, 294; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, Milano 1886, I, passim; II, pp. 84-93, 174-179; O. Cartellieri, Peter von Aragon…, Heidelberg 1904, pp. 114, 123, 157, 158, 160, 161, 176, 180; O. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, Milano 1936, p. 24.

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Pubblicato da terrazze Studio Garufi&Garufi

Salvatore Paolo (detto Rocambole) Garufi ha insegnato Lettere, Storia dell0Arte, Storia e Filosofia nelle scuole statali del Piemonte, della Liguria, della Campania e della Sicilia. Ha scritto opere di narrativa e teatrali ed è autore di monografie su Vitaliano Brancati, George Orwell, Santo Marino, Sebastiano Guzzone, Giuseppe Barone, Filippo Paladini e Enrico Guarneri (Litterio).

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