Church, tesi di tesi elaborata dal logico statunitense A. Church; afferma che ogni funzione calcolabile è una funzione ricorsiva e, viceversa, ogni funzione ricorsiva è una funzione calcolabile.
Tesi di Church-Turing
Dato un programma risolvibile con un formalismo e con complessità limitata da un polinomio, ossia ��=�(��), compilando il programma in un altro formalismo si può notare che la complessità non cambia.
Macchina di Turing
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Modello di agente di calcolo adatto a simulare la logica di qualsiasi algoritmo computazionale. La macchina formale fu proposta nel 1936 dal logico e matematico britannico Alan Turing, come sistema astratto che, opportunamente programmato, era capace di eseguire ogni tipo di operazione (l’idea di Turing era di rendere automatica una macchina da scrivere). Oggi ne esistono molte varianti, la più semplice delle quali è la macchina di Turing a nastro, formata da un’unità di controllo contenente un programma con un numero finito di istruzioni, da un nastro di lunghezza illimitata suddiviso in celle e da un’unità di lettura e scrittura sul nastro in grado di spostarsi avanti e indietro di un numero qualsiasi di celle e di leggere e scrivere in una qualsiasi delle celle un simbolo di un alfabeto prefissato. Questa macchina, pur nella sua semplicità, può calcolare in un numero finito di passi elementari qualsiasi funzione computabile. Il nastro si estende idealmente in modo infinito nei due versi e risulta diviso in celle, ciascuna contenente un simbolo appartenente a un insieme finito di simboli detto alfabeto.
Ogni ;macchina di Turing deve possedere un alfabeto che contenga il simbolo speciale b (blank, spazio), i simboli 0 e 1, e un numero finito di altri simboli, come X e Y, usati come segnaposto. In ogni istante solo un numero finito di celle contiene simboli diversi da b. Il nastro funziona pertanto da input, da output e da memoria. La macchina è costituita da un numero finito k di stati o configurazioni ed è pensata per eseguire solo un tipo di operazione primitiva. A ogni operazione corrispondono tre azioni o comandi: scrittura di un nuovo simbolo nella cella, posizionamento in un nuovo stato, spostamento di una cella verso destra o verso sinistra. Le istruzioni possibili per la macchina sono: stato corrente, simbolo corrente, prossimo simbolo, prossimo stato, direzione di spostamento. Una macchina di Turing può eseguire un’intera sequenza di istruzioni, poiché risulta sincronizzata da una sorta di orologio interno. La macchina è pertanto un modello di agente di calcolo generale che modellizza ciò che effettivamente può compiere un calcolatore.
La macchina di Turing ha permesso di dimostrare che alcuni problemi non ammettono nessuna soluzione generale calcolabile. La tesi o congettura di Church-Turing afferma infatti che, se esiste un algoritmo per eseguire un compito che manipola simboli, allora esiste una macchina di Turing in grado di eseguire quel compito. Pertanto, è possibile utilizzare il modello della macchina di Turing per definire i limiti della computabilità: se per un problema non esiste una macchina di Turing in grado di risolverlo allora il problema si dice incomputabile o irrisolvibile.
→ Complessità algoritmica; Informatica teorica; Intelligenza artificiale; Sistemi chimico-fisici: autorganizzazione
funzione
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funzione in algebra e in analisi, termine, sinonimo di → applicazione, indicante una corrispondenza che a ogni elemento x di un insieme X associa uno e un solo elemento y di un secondo insieme Y. La corrispondenza si indica con le notazioni ƒ: X → Y (specificando poi con la freccia ↦ l’effettiva rappresentazione della funzione) o y = ƒ(x) (si legga: «y uguale a effe di x»). Per esempio, la funzione ƒ che a una variabile fa corrispondere il suo cubo si designa con y = x 3, o con x ↦ x 3. L’insieme X si dice insieme di definizione o dominio di ƒ, mentre l’insieme Y è detto immagine o codominio. Molti autori tuttavia distinguono tra dominio e insieme di definizione di una funzione ƒ, intendendo quest’ultimo come il sottoinsieme del suo dominio costituito dai valori per cui la funzione stessa è effettivamente definita (alcune volte l’insieme di definizione è indicato, con una terminologia tuttavia un po’ obsoleta, come campo di esistenza della funzione). Analogamente, distinguono tra immagine e codominio, definendo l’immagine di una funzione come quel sottoinsieme del codominio costituito dai valori effettivamente assunti dalla funzione ƒ. Questa ambiguità si rimuove specificando nella definizione come dominio il sottoinsieme dello spazio ambiente in cui la funzione è definita, ƒ: D(ƒ) ⊆ X → Y.
Una funzione è individuata non solo dalla legge di corrispondenza, ma anche dall’insieme ambiente X, cambiando il quale si può ottenere un prolungamento o una restrizione della funzione stessa. Le variabili x e y sono dette rispettivamente variabile indipendente (o argomento) e variabile dipendente poiché sono appunto legati da una dipendenza funzionale nel senso che, per un qualsiasi valore della variabile indipendente per il quale la funzione è definita, risulta individuato il corrispondente valore della variabile dipendente: la funzione esprime appunto il legame di dipendenza che lega questi due valori. Deve essere comunque chiaro che una funzione è individuata dal suo nome (quindi dalla lettera ƒ) e non dai nomi dati alle variabili, per cui le funzioni y = ƒ(x) e z = ƒ(t), purché definite dalla stessa legge ƒ sullo stesso dominio X, sono da considerarsi identiche. L’insieme di tutte le funzioni ƒ: X → Y si designa con YX, coerentemente col fatto che se X ha n elementi e Y ne ha k, una funzione ƒ: X → Y si assegna effettuando n scelte indipendenti tra k elementi diversi, cosa che si può fare appunto in kn modi differenti.
Nella nomenclatura relativa a funzioni generali si usano le espressioni:
• funzione iniettiva: è una funzione che assume ogni valore al più una volta, ovvero a elementi distinti in X associa elementi distinti in Y. Più precisamente: ∀y ∈ Y, se y = ƒ(x′ ) = ƒ(x″ ) allora x′ = x″. Una tale funzione è dunque invertibile dal suo insieme immagine al suo dominio;
• funzione suriettiva (o surgettiva): è una funzione per la quale ∀y ∈ Y, Ǝx ∈ X tale che y = ƒ(x). Ciò significa che l’immagine di ƒ è l’intero insieme Y;
• funzione biiettiva (o bigettiva): è una funzione al tempo stesso iniettiva e suriettiva. Tale funzione realizza quindi una corrispondenza biunivoca tra il dominio X e il codominio Y.
Il termine funzione si applica propriamente al caso in cui X è un insieme di numeri o di n-ple di numeri, mentre Y può essere anche uno spazio vettoriale topologico, per esempio uno spazio di Banach. In particolare ƒ è detta funzione reale se Y ⊆ R, mentre se X ⊆ R si parla di funzione di variabile reale, e se X ⊆ Rn si dice che ƒ è funzione di n variabili reali. Analoghe denominazioni valgono per C e Cn (→ funzione analitica); in tal caso la parola funzione può indicare corrispondenze che associano a un valore della variabile complessa z più valori di ƒ(z) (→ funzione polidroma), in contrapposizione col termine funzione monodroma che si usa per specificare che si tratta di funzione a un solo valore in C (in R non c’è bisogno di tale distinzione perché per definizione una funzione associa a ogni valore del suo insieme di definizione uno e un solo valore del suo codominio).
Una funzione (reale di una o più variabili reali) è solitamente definita esplicitamente mediante una espressione analitica, vale a dire, come risultato di un insieme di operazioni da eseguire su numeri assegnati (costanti) e sulle variabili indipendenti, per esempio
oppure implicitamente, mediante una relazione analitica tra la variabile dipendente e le variabili indipendenti, nel qual caso si parla di funzione implicita, per esempio y 2 − x 2 = 1; sotto opportune ipotesi, è possibile passare dalla forma implicita a quella esplicita (→ Dini, teorema di).
Le funzioni reali di una variabile reale sono solitamente classificate in base all’espressione analitica della loro definizione esplicita. In particolare, si distingue tra:
a) funzioni algebriche: sono tali le funzioni per le quali il valore della variabile dipendente si ricava da quello della variabile indipendente attraverso le usuali quattro operazioni, l’elevazione a potenza o l’estrazione di radice, comunque tra loro combinate. Sono funzioni algebriche in una variabile reale:
• le funzioni polinomiali (dette anche razionali intere) la cui espressione analitica è un polinomio avente come indeterminata la variabile indipendente: a seconda del grado del polinomio esse possono essere costanti (grado uguale a 0), lineari (grado uguale a 1), quadratiche, cubiche ecc.;
• le funzioni razionali fratte la cui espressione algebrica è una frazione algebrica e la variabile indipendente compare anche al denominatore;
• le funzioni irrazionali nella cui espressione algebrica la variabile indipendente compare sotto il segno di radice;
b) funzioni trascendenti: sono così dette le funzioni per le quali il valore della variabile dipendente non si ricava soltanto con le operazioni descritte per le funzioni algebriche. Le funzioni trascendenti, a loro volta, possono distinguersi in base al tipo di funzioni che vi compaiono:
• le funzioni goniometriche o circolari, in cui la variabile indipendente è argomento di una o più funzioni goniometriche di base (seno, coseno, tangente, secante ecc.);
• le funzioni esponenziali, in cui la variabile indipendente compare a esponente;
• le funzioni logaritmiche, in cui la variabile indipendente è argomento della funzione logaritmo.
Vanno poi considerate trascendenti le funzioni che non sono definite attraverso una sola espressione analitica. Tali sono le funzioni definite per casi, quali la funzione valore assoluto, la funzione segno o la funzione di → Dirichlet (→ funzione definita per casi).
Se X = N (o Z), in luogo della notazione ƒ(n) si scrive sovente ƒn e si parla di successione.
Una funzione reale di una variabile reale y = ƒ(x) può essere rappresentata graficamente in un sistema di riferimento cartesiano Oxy segnando tutti e soli i punti di coordinate (x, ƒ(x)), per ogni x del dominio della funzione. L’insieme costituito da tali punti è detto grafico della funzione e, data l’univocità della funzione stessa, esso non contiene più di un punto di data ordinata. I valori della variabile indipendente per i quali la funzione assume valore nullo sono detti zeri della funzione.
Nel caso di funzioni R → R si usano particolari denominazioni a seconda dei valori che la funzione assume sulla base di valori positivi o negativi della variabile indipendente:
• funzione pari: è una funzione ƒ(x) tale che ƒ(−x) = ƒ(x). Per esempio, sono pari le funzioni x ↦ x 2k, x ↦ |x|, x ↦ cos(x), x ↦ cosh(x) (le funzioni pari hanno grafico simmetrico rispetto all’asse delle ordinate);
• funzione dispari: è una funzione che soddisfa l’identità ƒ(−x) = −ƒ(x). Sono dispari le funzioni x ↦ x 2k+1, x ↦ sin(x), x ↦ tan(x), x ↦ sinh(x), x ↦ sgn(x) (le funzioni dispari hanno grafico simmetrico rispetto all’origine).
La somma di due funzioni pari è pari, di due funzioni dispari è dispari; il prodotto di due funzioni pari o di due dispari è pari, il prodotto di una funzione pari per una dispari è dispari. Ogni funzione definita su R è somma di una funzione p(x) pari e di una d(x) dispari: basta infatti porre p(x) = [ƒ(x) + ƒ(−x)]/2, d(x) = [ƒ(x) − ƒ(−x)]/2. Per esempio, ex = cosh(x) + sinh(x). Queste definizioni si applicano anche a funzioni C → C.
Sulla base dei valori assunti dalla funzione e, quindi, del suo andamento grafico letto nel verso delle x crescenti, si definiscono:
• funzione crescente: su un insieme ordinato E se ∀x′, x″ ∈ E, x′ < x″ implica ƒ(x′) ≤ ƒ(x″). Se la disuguaglianza è stretta, ƒ(x′) < ƒ(x″), si dice che ƒ(x) è strettamente crescente;
• funzione decrescente: si dice che ƒ(x) è decrescente se x′ < x″ implica ƒ(x′ ) ≥ ƒ(x″ ). La disuguaglianza stretta implica che la funzione è strettamente decrescente. Se ƒ(x) è (strettamente) crescente in E, −ƒ(x) e ƒ(−x) sono (strettamente) decrescenti, rispettivamente in E e in −E;
• funzione (strettamente) monotòna: una funzione definita in un insieme ordinato E è (strettamente) monotòna se è (strettamente) crescente oppure decrescente in E;
• funzione localmente crescente: è così definita una funzione crescente nell’intorno di un punto.
La somma di funzioni crescenti è crescente, ma non il prodotto, a meno che le funzioni non siano positive: per esempio, la funzione x ↦ x è (strettamente) crescente, ma il suo quadrato x ↦ x 2 non lo è in tutto R, mentre lo è in R+. Questa nozione è assai importante perché l’ipotesi di stretta monotonia è una condizione sufficiente per l’esistenza della funzione inversa.
Altre caratteristiche importanti di una funzione reale di variabile reale sono la sua → continuità, in un punto o in un intervallo, la sua derivabilità (→ derivata), la sua integrabilità (→ funzione integrabile) e il suo comportamento negli intorni dell’infinito o dei punti in cui non è definita (→ limite).
Nel caso generale, quando cioè non ci si riferisce alle funzioni definite in insiemi numerici fondamentali e che in essi assumono i valori, al termine funzione si preferiscono i termini applicazione o trasformazione; quando il dominio X è un insieme qualsiasi e Y un insieme numerico si parla di → funzionale. Non sempre la legge che descrive il modo di operare di una funzione, cioè la corrispondenza tra dominio e codominio, è esprimibile in forma analitica mediante delle formule, così come avviene invece nel caso delle → funzioni elementari: oltre ad accettare → funzioni definite per casi o contenenti limiti o integrali, una funzione può anche essere definita per esempio da una equazione (→ funzione implicita) o da un problema di → Cauchy per un’equazione differenziale ed è perfettamente individuata anche se non se ne conosce alcuna rappresentazione esplicita. Più delicato invece è il problema delle funzioni definite utilizzando l’assioma della scelta (per esempio, le funzioni non misurabili nel senso di Lebesgue): poiché la legge è ignota in linea di principio, dal punto di vista dell’intuizionismo esse non sono accettabili.
□ Nel linguaggio dei predicati, una funzione, con significato analogo a quello generale in algebra e analisi, è espressa con un simbolo, detto anche lettera funzionale. Le lettere funzionali sono generalmente indicate come segue: f11, f21, f31, …, f12, f22, …, f13, …, in cui i numeri ad apice indicano il numero di argomenti della funzione mentre i numeri a pedice servono a distinguere lettere funzionali con lo stesso numero di argomenti; per esempio il simbolo f53 rappresenta il quinto simbolo di funzione avente tre argomenti. Applicando un simbolo di funzione alle costanti e alle variabili del linguaggio dei predicati, si costruiscono i termini del linguaggio stesso. Per esempio le seguenti affermazioni: a) la densità di popolazione del Lazio supera la densità di popolazione del Molise; b) la somma di due numeri naturali è maggiore o uguale alla loro differenza, esprimono delle proprietà che non riguardano direttamente il Lazio e il Molise, ma la loro densità di popolazione, né le coppie di numeri, ma la loro somma e la loro differenza. Riguardano perciò delle funzioni definite rispettivamente nell’insieme delle regioni italiane e nell’insieme dei numeri naturali. Si può allora rappresentare la funzione «densità di popolazione» con la lettera P ed essa può essere applicata a una qualsiasi regione italiana, indicata con la variabile x, formando l’espressione P(x) (si legge «P di x»). Allo stesso modo si può rappresentare la funzione «somma di due numeri x e y» con il simbolo S(x, y) (si legge «S di x y») e la funzione differenza con il simbolo D(x, y). In tal modo, utilizzando il simbolo ≥ per indicare il predicato «essere maggiore o uguale di», le frasi precedenti possono essere riscritte in forma simbolica: a) P(Lazio) > P(Molise); b) S(x, y) ≥ D(x, y). Nei due esempi precedenti il simbolo P rappresenta una funzione di una variabile (P(x)) mentre i simboli D e S rappresentano funzioni di due variabili. In generale, nel linguaggio dei predicati, possono essere utilizzati simboli di funzione con un numero qualsiasi di variabili (o argomenti). Quando una funzione ha n argomenti si dice che la funzione ha arità n.
Cosa sono le funzioni matematiche? Spiegazione completa
di Samuele Girovasi
Matematica 19 Marzo 2019
Uno degli argomenti più importanti della matematica sono le funzioni. Queste si studiano soprattutto nell’ultimo anno delle superiori e costituiscono l’oggetto principale su cui verte di solito la seconda prova dell’esame di maturità del liceo scientifico.
Rappresentano anche un enorme ostacolo anche per coloro che si trovano al primo anno di università, i quali dovranno affrontare l’esame di analisi 1. Ora però vediamo insieme come studiarle nel modo più semplice.
Cosa sono le funzioni matematiche
Dati due insiemi A e B, una funzione è una relazione che associa ad ogni numero reale di A uno e un solo numero di B.
Per esempio se prendiamo in considerazione la funzione y=3x+5, questa associa a ogni valore di x un solo valore di y.
L’insieme A viene detto dominio della funzione, mentre l’inseme B, formato dalle immagini degli elementi di A, è detto codominio. Allo stesso modo la x viene detta variabile indipendente e la y variabile dipendente perché appunto dipende dai valori attribuiti alla x.
Esistono due forme per descrivere una funzione: la forma implicita (-3x+y-5=0) e la forma esplicita (y=3x+5) che è la più usata.
CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI
Una funzione algebrica può essere:
- Razionale intera (o polinomiale) quando al suo interno contiene dei polinomi. Se sono di primo grado sarà lineare, se di secondo grado la chiameremo quadratica.
- Razionale fratta se contiene al denominatore l’incognita x.
- Irrazionale se la variabile x è contenuta all’interno di una radice.
Esistono altri tipi di funzioni che non sono algebriche e si chiamano trascendenti, come ad esempio la funzione y=sin(x) o la funzione esponenziale y=e^x.
Il dominio di una funzione
Chiameremo dominio della funzione l’insieme più grande dei valori reali che si possono assegnare alla x affinché esista il corrispondente valore della y. Detto in questo modo, trovare il dominio di una funzione può sembrare una cosa molto complicata; in realtà è molto più facile a farsi che a dirsi.
Per prima cosa ci conviene trovare il campo (o condizioni) di esistenza della funzione che molto spesso viene erroneamente confuso con lo stesso dominio. Il C.E. non è altro che l’insieme dei valori della x per i quali la funzione è definita.
Se quindi, per esempio, abbiamo la funzione y=(3x+2)/(x-5), essa non esisterà nel caso in cui il denominatore sia uguale a 0; pertanto il nostro campo di esistenza sarà C.E.: x≠5. Per indicare il dominio, invece, scriveremo: D=]-∞,5[∪]5,+∞[; dove le parentesi quadre indicano gli intervalli i cui valori possono essere assegnati alla funzione affinché esistano dei valori della y.
Se due funzioni hanno lo stesso dominio, esse sono funzioni uguali.
Proprietà delle funzioni
FUNZIONE INIETTIVA
Prendendo in considerazione due insiemi A e B, una funzione viene definita iniettiva se ogni elemento di B è immagine al più di un elemento di A. Ciò significa che se per esempio prendiamo in considerazione una funzione qualsiasi del tipo y=ƒ(x), ogni valore delle y deve essere associato al massimo ad un solo valore delle ascisse (come la retta in figura).
La funzione della parabola nella seconda figura, non può essere definita iniettiva perché per uno stesso valore delle ordinate corrispondono ben due valori delle x.
FUNZIONE SURIETTIVA
Un altro tipo di funzioni sono quelle suriettive, ovvero in cui ogni elemento di B è immagine almeno di un elemento di A. Quindi qualunque valore tu scelga sull’asse delle y deve essere associato almeno ad un elemento delle x.
Nell’immagine che segue è rappresentata una funzione suriettiva perché, come potrai vedere, a qualunque punto delle ordinate ne corrisponde almeno uno delle ascisse, anzi a volte ne corrispondono anche di più.
La seconda funzione, invece, esiste solo al di sopra dell’asse x, quindi nessuna ordinata negativa può essere associata con una x; pertanto la funzione non è suriettiva.
FUNZIONE BIUNIVOCA
Una funzione si dice biunivoca o biettiva se è sia iniettiva e sia suriettiva, quindi se ogni valore scelto sull’asse y corrisponde ad uno e un solo valore sull’asse x; come nel caso in figura.
FUNZIONI PARI E DISPARI
♦Una funzione è pari quando ƒ(-x)=ƒ(x) , essa quindi sarà simmetrica rispetto all’asse delle ordinate (come nella figura 1). Una funzione del tipo y=x²+1 è pari, perché, calcolando ƒ(-x), avremo che ƒ(-x)=(-x)²+1 ⇒ y=x²+1 , ovvero ƒ(x).
♦ Se in una funzione ƒ(-x)=-ƒ(x) , allora questa sarà dispari, e, come il grafico della seconda figura, sarà simmetrica rispetto all’origine degli assi. Ad esempio, y=x³-x è una funzione dispari perché ƒ(-x)=(-x)³-(-x)=-x³+x che equivale a y=-(x³-x) quindi è vero che ƒ(-x)=-ƒ(x).
Le funzioni però non sono come i numeri che devono essere per forza pari o dispari. Una funzione infatti può anche non possedere nessuna delle due proprietà, in questo caso diremo che non c’è parità.
Nel caso della funzione y=x³-1, se calcolassimo ƒ(-x), otterremmo una funzione diversa da quella di partenza, ovvero y=(-x)³-1=-x³-1=-(x³+1), che non coincide né con ƒ(x) e né con -ƒ(x). Pertanto la funzione non sarà simmetrica né con l’asse y e né con l’origine.
FUNZIONI PERIODICHE
Considerando una funzione y=ƒ(x) , viene definita periodica, di periodo T, se, per qualsiasi numero k intero, si ha: ƒ(x)=ƒ(x+kT) . Essendo periodica, una funzione di questo tipo si ripete nel grafico in ogni intervallo T; le funzioni sin(x) e cos(x) ad esempio ripetono il loro andamento ogni 2π, mentre le funzioni tangente e cotangente hanno come periodo π.
FUNZIONI INVERSE
Data la funzione biunivoca y = ƒ(x) da A a B, la funzione inversa di f è la funzione biunivoca x = ƒ^(-1)(y) da B ad A. Quando una funzione ammette la sua inversa, allora si dice invertibile. Nel caso in cui non lo fosse, è possibile effettuare una restrizione del dominio per rendere la funzione biunivoca.
Ricorda!: il grafico di una funzione e quello della sua inversa sono simmetrici rispetto alla bisettrice del primo e del terzo quadrante.