Intervista sulla storia della Sicilia antichissima – dispensa di Rocambole Garufi

Intervista sulla storia della Sicilia antichissima – dispensa di Rocambole Garufi

Intervista sulla Storia della Sicilia antichissima – dispensa di Rocambole Garufi

La Sicilia antichissima, ombelico del mediterraneo, capitale del pensiero filosofico, della lettera e dell’arte.

Introduzione

Aneddoti personali

Recensione

L’identità siciliana nell’antichità


Comincio con una domanda canonica. Per lei, la Sicilia è una regione dell’Italia o un continente a parte?

E’ certamente un mondo a parte; e pure molto complesso. Almeno, stando alla storia. Infatti, già la Sicilia pre-ellenica fornisce diversi spunti di interesse, dato che presenta un’accentuata differenziazione, sia al suo interno, sia rispetto alle civiltà coeve.

Si riferisce ai popoli che l’abitavano?

Infatti. I primi a stanziarsi nell’isola furono i sicani, i morgeti e gli ausoni. Questi in tempi diversi (i sicani spintivi dall’invasione sicula) finirono per occupare la zona occidentale (grotte nel territorio di Palermo, Alcamo, Castrogiovanni, Termini Imerese, etc.). I sicani, inoltre, in qualche modo, si tennero in disparte rispetto agli altri popoli, avendo essi soli coscienza della loro ormai immemorabile presenza nell’isola. Lo scrive Ignazio Scaturro nella sua Storia di Sicilia, edita dalla Raggio di Roma, nel 1950. Razialmente vicini ai sicani, però, furono gli elimi, tra l’altro citati dallo storico greco Tucidide, che si stabilirono soprattutto nelle città di Erice, Segesta ed Entella. Intorno al secondo millennio a. C. arrivarono poi i siculi. Possiamo azzardare l’ipotesi che fossero una popolazione italica (o italicizzata), indoeuropea in ogni caso, almeno basandoci sulle scarse sopravvivenze linguistiche, la più corposa delle quali si trova nella cosiddetta Iscrizione di Centuripe. I siculi si stanziarono nella parte orientale dell’isola e la loro presenza coincise con un vero e proprio rinascimento culturale, testimoniato dalla produzione ceramica, che si presenta come una delle più belle, se non la più bella, di tutte le ceramiche preistoriche d’Italia. Altro popolo, di cui ci dà notizia Cirino Gula nella sua Storia di Leontinoi, uscita a Catania nel 1995 presso la C.U.E.C.M., fu quello dei lestrigoni.

Ci furono anche i greci…

I greci e pure i fenici. Quest’ultimi vennero da Cartagine e fondarono le loro città sul versante occidentale. Ancora oggi, Mozia ne è splendida testimonianza. Basta leggere le egregie monografie di Enrico Acquaro (Cartagine: un impero sul Mediterraneo, Club del libro Fratelli Melita, La Spezia, 1980) e di Sabatino Moscati (Alla scoperta della civiltà mediterranea, Roma, Newton Compton, 1979).

E i greci?

La loro colonizzazione cominciò a metà del sec. VIII. Possiamo individuarne la causa nel fatto che l’antica proprietà terriera delle città greche, concentrata in poche mani, non ammetteva troppi incrementi demografici. I coloni, perciò, andarono a cercare altre terre fertili da coltivare e ben presto le nuove città, dotate di ottimi porti, conobbero un impetuoso ed intenso sviluppo commerciale. Così, i megaresi fondarono Megara Hyblea, i calcidesi Naxos, i Corinzi Siracusa, gli ioni Zancle (Messina), i rodii e i cretesi Gela. Da queste, a loro volta, partirono altri gruppi di coloni a far nascere nuovi centri. Non molto lontano dall’attuale Piana di Catania, per esempio, nacque Leontinoi, ad opera di gente di Naxos.

Bene. In tutto questo la nazione siciliana dov’è?

Per esempio, già nelle espressioni artistiche del periodo delle tirannidi, molto diverse di quelle fiorite nella madrepatria greca. Esse ebbero una loro particolare impronta monumentalistica, soprattutto la monetazione, l’arte in cui eccelsero gli artisti della Sicilia, come documenterebbe una visita al Museo “Paolo Orsi” di Siracusa. Fin dai primi esemplari si usarono oro, argento, elettro (lega di oro ed argento) e rame. Furono rarissimi i casi in cui si fece ricorso ad altro materiale, come il cuoio ed il ferro a Sparta, o lo stagno usato da Dionigi il Vecchio a Siracusa. Tale preferenza per i materiali preziosi, per il loro stesso valore di difficile circolazione, ci fa pensare che la moneta, più che per scopi puramente commerciali, dovesse servire ad attestare la potenza del tiranno.

Vuol dire che erano i manifesti propagandistici dell’epoca?

Più o meno, sì. La funzione propagandistica della moneta ci viene ulteriormente sottolineata dal fatto che si ricorreva ad ogni mezzo per reperire il necessario materiale prezioso. Dionigi il Vecchio di Siracusa, ad esempio, arrivò a spogliare molti cittadini dei loro gioielli e molti templi dei loro ornamenti.

Beh, non mi pare che questo sia un passato di cui andare orgogliosi.

Dal nostro punto di vista di uomini moderni, sicuramente no! Ma, se si guarda la produzione artistica, il risultato fu grandioso. L’aspetto più interessante delle monete siciliane sta nel fatto che venivano coniate al pezzo, sia nel tipo (l’elemento figurativo) che nella leggenda (l’elemento epigrammatico), cosa che richiedeva tempo, cura e abilità.

Possiamo individuare, perciò, una varietà di stili all’interno di quest’arte?

Su questa base si sogliono distinguere tre periodi di coniazione: il primo è detto dei maestri primitivi, il secondo dei maestri arcaici ed il terzo (di eccezionale livello qualitativo) dei maestri monetieri. Nel periodo dei maestri primitivi (dal 550 a.C. circa) si ebbero soprattutto monete incusse, cioè col Dritto in rilievo ed il Recto scavato. I valori maggiormente espressi sono il tetradramma ed il tridramma. Al Dritto v’è effigiata una testa femminile con una leggenda indicante, abbreviato, il nome della città (esempio: Sira per Siracusa). Sul Recto ci sono due cavalli guidati da un auriga (hippeus). Ciò ci fa pensare che a quei tempi la misura della ricchezza era data dal possesso dei cavalli.

E che possiamo dire delle qualità artistiche degli autori, se autori sono stati individuati?

Il disegno dei pezzi più antichi ha una certa rigidità, che tende alla severità della statuaria. In essi viene espresso soprattutto un ideale di dignità. In queste prime produzioni compaiono, inoltre, alcuni simboli che indicano le città di emissione: il grappolo d’uva indica Nasso, il leone Leontini, l’ape Selinunte, il toro dal volto umano o Gela o Catania, la testa della ninfa Aretusa Siracusa. Col periodo dei maestri arcaici (dal 480 a.C.) abbiamo due grosse novità. La prima è l’introduzione sul Recto della figura della Vittoria (Nike), che incorona l’auriga ed i cavalli dopo il trionfo in una gara. La seconda è il caratterizzarsi dell’incisione monetale come forma d’arte autonoma, tanto che il prof. Giulio Emanuele Rizzo, noto studioso del settore, in questo periodo credette di riconoscere ed isolare ben due maestri, purtroppo rimasti anonimi, capaci di staccarsi dal mero artigianato e di raggiungere personalità di artisti. Lo stile di questi maestri è ancora improntato ad un ideale di severità, simboleggiato soprattutto da figure di donne vestite col pesante peplo dorico. Due monete sono utili sopra le altre per l’esatta ricostruzione cronologica delle emissioni del periodo dei maestri arcaici. Una è il cosiddetto Damarateion, decadramma (dieci dracme) che sappiamo emesso a Siracusa da Gelone, in occasione della sua vittoria ad Imera (480 a.C.), la cui funzione commemorativa, quindi, appare chiara. L’altra, di datazione incerta, è un tetradramma rievocante la fondazione della città di Aitna, emesso nel 476 a.C. A metà del V° sec., poi, furono emesse monete di bronzo a Imera, a Siracusa, a Gela, a Camarina, a Catania, a Leontini, a Nacona e a Piakion (di queste due ultime città non è ancora stata possibile una sicura identificazione). L’ultimo periodo, il più ricco di risultati d’arte, è quello dei maestri monetieri. Esso iniziò negli ultimi decenni del V° sec. a.C. e durò fino al 360 a.C. Il primo che ebbe coscienza del valore artistico delle sue monete e le firmò fu Eumene. Ricordiamo, ancora, Sosion, Frigillo (che fu pure un bravo incisore di gemme), Euthimo, Evarchida, Eucleida, Essacestida, Procles. Ma, i due più grandi maestri monetieri di tutti i tempi furono Cimone ed Eveneto.

Che cosa, in particolare, li fa grandi?

Di Cimone sappiamo che operò a Siracusa dal 412 al 400 a.C. E’ famoso il suo decadramma commemorativo della vittoria dell’Assinaro sugli ateniesi, dove nella reticella che orna la testa della ninfa Aretusa viene espresso un elegantissimo intreccio di linee e serpentine. Nel rovescio si raggiunge addirittura il capolavoro con una delle più perfette e disinvolte rappresentazioni della quadriga veloce. A ciò va aggiunta la personalità di aver posto la ninfa Aretusa non più di profilo, ma di prospetto, proponendo così un concetto più naturalistico di rappresentazione. Degna di ricordo è pure la moneta di 50 litre in oro dove Cimone rappresentò la lotta di Ercole con il leone. L’altro maestro, Eveneto, operò a Siracusa fino al 412 a.C. e poi nelle zecche di Catania, Camarina e, dal 400 al 370 a.C., di nuovo a Siracusa. Il suo capolavoro fu il decadramma emesso nel 413 a.C., anch’esso per commemorare la vittoria dell’Assinaro sugli ateniesi. Nell’impianto dell’opera riprese lo schema del damarateion, ma superandone le arcaiche rigidità di disegno con una complessa sinfonia di temi, che tocca la genialità innovativa nel Recto, dove i cavalli della quadriga sono raffigurati di scorcio e balzano fuori focosi.

Conclusioni

Voto

Video

Correlati

Citazioni

Note

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da terrazze Studio Garufi&Garufi

Salvatore Paolo (detto Rocambole) Garufi ha insegnato Lettere, Storia dell0Arte, Storia e Filosofia nelle scuole statali del Piemonte, della Liguria, della Campania e della Sicilia. Ha scritto opere di narrativa e teatrali ed è autore di monografie su Vitaliano Brancati, George Orwell, Santo Marino, Sebastiano Guzzone, Giuseppe Barone, Filippo Paladini e Enrico Guarneri (Litterio).

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.