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AGRITURISMO ARTE LETTERATURA MILITELLO VAL CATANIA: VICTORIAM NUMQUAM ABDICAVIT

Garufi Tanteri, S. P., “L’Internazionale capitalista: la Massoneria” – I Lavori Pubblici dell’Ottocento a Militello in Val di Catania

L’Internazionale capitalista: la massoneria

di Salvator Paolo Garufi Tanteri

(I Lavori Pubblici a Militello in Val di Catania)

1

La storia non ha binari e l’umanità non è un treno.

Non ci hanno mai convinti, quindi, le interpretazioni complottiste degli eventi. Non crediamo possibile che una cupola mondiale possa tenere sotto controllo le azioni della gente.

Gli abitanti di questo pianeta sono troppi e troppe volte hanno reazioni imprevedibili.

La storia” ha scritto lo scrittore Leonardo Sciascia, ”non è maestra di vita. E’ assurda come la vita.”

Da parte nostra, invece, nel lungo – lunghissimo – periodo pensiamo che ci possa essere una qualche logica nei fatti. Abbiamo l’impressione che nell’arco di pochi anni le società seguono la legge darwiniana della lotta per la sopravvivenza.

Tutto è zuffa, confusione e mischia. Ma, alla fine, alzatasi la polvere, si scopre che hanno preso il sopravvento, non le mentalità migliori, ma le meglio armate, o quelle più disinvoltamente organizzate – apparentemente le le più fortunate -.

Nulla è eterno. Per ogni assetto sociale c’è pronta una generazione di rivoluzionari (che, quando vince, magari, finisce per recuperare idee e uomini dai perdenti, se utili al mantenimento del potere).

Così, nuovi e al contempo vecchi modi di vivere entrano nella lotta, finché un’altra generazione non ingaggia una nuova lotta, in nome di un’altra gerarchia.

Sappiamo che questa non è un’idea di grande originalità. Più o meno, è stata esposta la dialettica hegeliana.

Qui, però, ci premeva dire che la storia è irrazionale nel breve periodo e razionale nel lungo.

La storia è come quell’ubriaco che dalla taverna voleva andare a casa: camminava a zig zag, barcollava, cadeva, sbagliava strada e tornava indietro.

Ma, quando l’ubriaco riuscì a coricarsi nel suo letto, chi potrà mai sostenere che, date le condizioni, alla fine non successe il meglio?

II

Proprio come un ubriaco, infatti, sembrò camminare il governo borbonico col redivivo Ferdinando.

Si pensò di tornare indietro nel tempo e la storia sembrò assurda come la vita.

“Dovremmo essere proprio noi” chiese Donato Tommasi a Luigi de’ Medici, “a riportare nel regno i pregiudizi che combattiamo da sempre?”

“Non del tutto” rispose Medici. “Finora i regni di Napoli e di Sicilia sono stati uniti e contemporaneamente divisi. Hanno convissuto utilmente per oltre settant’anni sotto Carlo e sotto Ferdinando. Ma, ora Napoli e la Sicilia sono un’unica patria col Regno delle Due Sicilie e Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli si chiama Ferdinando I.”

“Vedrete che queste due parti del regno resteranno nemiche l’una all’altra, fino al reciproco annientamento.”

“Se sarà così, ce ne renderemo conto ed agiremo di conseguenza. Per ora, il nostro dovere è favorire la riconciliazione fra le intelligenze migliori dell’una e dell’altra parte del Regno. Anzi, dirò di più: anche dell’uno e dell’altro partito che ne hanno agitato la vita.”

Tommasi non sbagliava, se pensiamo alle vicende rivoluzionarie del 1820 e poi ai tanti moti che tormentarono il Regno nel breve volgere della sua vita (1815-1860).

Ma, neppure Medici aveva torto, dato che sotto il suo governo, almeno stando alle carte dell’archivio storico di Militello, il regno non fu amministrato male.

Nei primi anni del Regno delle Due Sicilie si affermò un potere, se si vuole, paternalistico. Ma, dopo certe performances delle società di massa moderne, viene la nostalgia anche dei Borbone.

Con loro, almeno, il governo si preoccupò di essere pure un erogatore di servizi.

Non mancò, per esempio, l’iniziativa nei lavori pubblici, a partire dal problema più sentito dalle nostre parti, quello dell’acqua.

Nel giro di ventitré anni le autorità cittadine intervennero sette volte. Un’intensità, questa, buona anche ai giorni nostri. Senza contare la qualità degli interventi, nettamente superiore, dato che, senza spese faraoniche per creare incompiute e cattedrali nel deserto, furono realizzate oculate migliorie dell’esistente.

Infatti, manco a farlo apposta, a Militello la più antica notizia al riguardo risale proprio all’anno di nascita del Regno, il 1815, quando il perito Fragalà costruì la canalizzazione dell’acqua della fonte Zizza da Piazza Maggiore a via Porta della Torre.

Seguirono a intervalli opere di manutenzione e di miglioramento: nel 1819 l’architetto Francesco Capuana effettuò un sopralluogo nella sorgiva della Zizza; nel 1821 si fecero lavori di manutenzione della linea dell’acquedotto; nel 1825 il mastro Mario Messina e gli eredi di Francesco Messina eseguirono viattazioni e ripari nella sorgiva della Zizza e tentarono la canalizzazione dell’acqua del Lembasi.

Finalmente, il 30 giugno 1831, come da ricevute date dai sindaci, fu affisso nei comuni di Scordia, Vizzini, Mineo e Caltagirone il primo avviso per appaltare i lavori nell’acquedotto di Militello.

Nello stesso anno il perito Tinnirello scriveva una relazione sui catusi realizzati e dava notizia dell’acquedotto cosiddetto della Strada Corta, costruito con “tombonelli(?) di calce e cenise (“ginisi”, carboncini per riscaldare le braci), ed indi coperto di balatato nero, in cui passano le acque piovane che raccolgono varie strade interne, non solo, ma pure lo scolo dei pubblici canali di detta Comune.”

Nel 1832, ancora, venne dato l’appalto per la conservazione dell’acquedotto e fontane; infine, nel 1838 il mastro Salvatore Lo Drago di Messina s’era preso l’incarico di una guida dell’acquedotto pubblico, con le annesse riparazioni.

Sul versante dell’illuminazione pubblica, resta una corrispondenza del 1819, nella quale Giovambattista Patricolo si impegnava a costruire dei fanali a lume inglese nei pressi del palazzo comunale.

Il 7 febbraio 1820, inoltre, venne pubblicato l’avviso per procedere all’appalto per la costruzione del nuovo orologio pubblico, seguendo i criteri stabiliti nella relazione del perito mastro Domenico D’Agata di Aci Sant’Antonio. Il successivo atto per procedere alla costruzione è datato 2 agosto 1820. Il macchinario fu collocato sulla facciata della Chiesa Madre del SS. Salvatore.

Nel 1828 venne imposta la realizzazione dei camposanti fuori dall’abitato. Così, secondo una relazione del 1853 dell’amministrazione catastale, l’area destinata a cimitero misurava 698 metri quadrati.

“A questo riguardo, però” scrisse l’architetto Mancuso a Vincenzo, “va notato che a quell’epoca fra i Comuni del distretto di Caltagirone, solo Militello aveva un cimitero e che nell’intera provincia di Catania ne risultavano dotati solo nove comuni su un totale di sessant’uno.”

Non mancarono neppure i lavori di rifacimento degli edifici religiosi, attorno ai quali all’epoca ruotava gran parte dell’economia e la vita sociale.

Nel 1845, per esempio, i francescani procedettero alla radicale ristrutturazione del loro convento. L’architetto fu Mancuso, che adottò una soluzione che non si dimostrò felice. Anziché demolire la vecchia struttura, per costruire ex novo, egli preferì realizzare dei muri interni alla chiesa esistente, lavoro che sarebbe risultato poco solido, per il diverso assestamento dei due corpi nel terreno.

Infine, la viabilità.

Proprio al contrario di quel che comunemente si crede, fu essa uno dei migliori lasciti borbonici.

Per quel che ci riguarda, il più antico avviso per la costruzione della strada Scordia-Militello è datato 18 novembre 1823.

Più in generale, per i collegamenti nell’isola, il 20 aprile 1830 veniva fissato con apposito avviso il dazio di pedaggio nelle strade rotabili di Sicilia.

In relazione a ciò, il 18 maggio 1830, venne annunciata l’apertura della rotabile che univa Catania con Palermo e Messina per mezzo di due lunghi tronchi di strada che incontrano la consolare, uno ad Adernò, e l’altro a Ponte Minissale sopra Diana.

Per completare l’opera, il 17 settembre 1830 dall’Intendente arrivò comunicazione ai Decurionati (le amministrazioni di allora) di quanto giovamento sieno gli alberi di ormeggio lungo le carrozzabili strade provinciali, pel comodo de’ viandanti, per la salubrità dell’aere, e pel legno che producono. Per cui, concludeva l’intendente, sono sicuro che codesto Decurionato come fervescente del pubblico bene, bisogno non ha che d’un impulso, per procurare tra gli altri ai suoi concittadini, utilità siffatte.

Nel 1832, finalmente, a Scordia furono avviate le procedure per la costruzione della strada di Militello e nel 1833 venne affisso l’avviso di gara d’appalto per la Strada delli quadri, che univa Scordia a Militello.

Per quanto concerne la conoscenza del territorio e la politica economica, il 28 settembre 1829, arrivò nei comuni siciliani una circolare con un questionario allegato. Si voleva superare il vecchio catasto meramente descrittivo, per acquisire un’archiviazione dei dati completa di mappe.

Il comune di Militello, in ottemperanza, dette l’incarico della rilevazione planimetrica del territorio  all’agrimensore Francesco Costanzo. Ovviamente, si trattò di un lavoro privo di scale di proporzione, ma era pur sempre un inizio.

Inoltre, già dal 1824 venne confermato dal ministro Medici l’abbattimento delle dogane interne, principio per il quale Vincenzo Natale si era battuto nel parlamento carbonaro del 1820. Lo prova il libro dei dazi di Ferdinando I, per la grazia di Dio re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, ec. (sic), infante di Spagna, Piacenza, Castro ec. ec., gran principe ereditario di Toscana ec. ec. ec., pubblicato a Napoli, il 30 novembre:

“Avendo maturamente esaminati i rapporti, ed i progetti a Noi presentati dal nostro Ministro delle Finanze, e volendo rendere libero il commercio di cabotaggio, e libere le circolazioni in tutta l’estensione del nostro Regno delle due Sicilie.

“Su la proposizione del nostro Consigliere Ministro di Stato, Ministro Segretario di Stato delle Finanze.

“Udito il nostro ordinario Consiglio di Stato.

“Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue:

“Confermiamo il principio da Noi stabilito con Decreto del 15 dicembre 1823, di potersi tutto estraregnare senza il pagamento di nessun dazio.

“In conseguenza tutt’i lavori, le manifatture, e tutte le produzioni di qualunque natura vegetabile, animale, e minerale de’ nostri Dominj al di quà (sic), ed al di là del Faro sono dichiarati esenti nell’estraregnazione dal pagamento di ogni dazio doganale.

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Pubblicato da terrazze

Salvatore Paolo (detto Rocambole) Garufi Tanteri ha insegnato Lettere, Storia dell'Arte, Storia e Filosofia nelle scuole statali del Piemonte, della Liguria, della Campania e della Sicilia. Ha scritto opere di narrativa e teatrali ed è autore di monografie (Vitaliano Brancati, George Orwell, Santo Marino, Sebastiano Guzzone, Giuseppe Barone, Filippo Paladini).

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