Introduzione
di Salvatore Paolo Garufi Tanteri
La vicenda umana ed artistica di Sebastiano Guzzone (1856-1890) si colloca in un periodo di grandi cambiamenti negli assetti di potere e nelle egemonie culturali dell’Europa, tanto da farne, se non un protagonista, almeno un testimone d’eccezione.
Nato nella profonda provincia siciliana, a Militello in Val di Catania, da una famiglia di piccoli possidenti, egli ricevette la prima educazione dallo zio prete, don Rosario, conservatore in politica, ma, al contempo, molto amico dell’emergente liberale Salvatore Majorana Calatabiano, che fu ministro del primo governo italiano della Sinistra storica.
Sotto tanta protezione, perciò, già apprezzato per la sua prodigiosa abilità nel disegno – sulla scia di alcuni maestri locali, quali Salvatore Grande, Emanuele Fagone, Nicolò Culosi e Francesco Sinatra -, Guzzone poté trasferirsi a Roma e frequentare l’Accademia di San Luca, nel frattempo ospite del copista Filippo Casabene (un vero e proprio specialista del quadro l’Aurora di Guido Reni).
In quegli anni, per realizzare l’unità artistica d’Italia, l’Accademia era un ottimo strumento, anche se non mancarono i momenti dialettici. Roma, infatti, diventò un vero e proprio crocevia di inquietudini estetiche. Vi operarono, così, personalità del calibro di Vincenzo Camuccini, di Tommaso Minardi (che del Guzzone fu maestro), di Filippo Agricola e di Francesco Podesti (altro maestro del Nostro), tutti autori di stentoree riproposizioni storiche. A questi poi si aggiunse il drappello degli innovatori – amici e frequentatori dello studio che l’artista siciliano in seguito aprì a Roma -, soprattutto Mariano Fortuny y Marsal e Cesare Maccari. E, poi, Francesco Di Bartolo, Pio Ioris, Luigi Serra, Nino Costa, Giuseppe Ferrari, il poeta Luigi Zanazzo (autore di Rugantino), e tanti altri.
Un momento di grande felicità creativa per Guzzone fu la partecipazione all’edizione del 1885 dello storico carnevale di Roma (già citato da Dumas in Il conte di Montecristo). Al Nostro, al pittore Salvatore Franciamore ed all’architetto Ernesto Basile venne affidato l’incarico di allestire un carro carnascialesco che rappresentasse la Sicilia. L’opera, non soltanto vinse il primo premio, ma fu molto ammirata dalla Regina (a cui Guzzone regalò un tamburello acquarellato e con dei versi dello Zanazzo).
L’apprezzamento per Sebastiano Guzzone, inoltre, fu molto grande all’estero, soprattutto in Francia – per la sua amicizia col fotografo Nadar – e in Inghilterra, dove fu presente in ben quattro esposizioni della Royal Accademy. A tal proposito, si conserva una lettera piena di entusiasmo nei suoi confronti scritta dal gallerista francese Brebant.
Dopo il matrimonio con la nobildonna Gaetanina Baldanza, Guzzone fece molti viaggi e soggiornò spesso ad Assisi e a Firenze. E in questa città morì e fu seppellito nel 1890.
Un suo quadro, Festa in chiesa, piccolo gioiello del verismo ottocentesco, fu in seguito acquistato, grazie all’intercessione di Ernesto Basile e di Domenico Morelli, per il Museo Nazionale di Arte Contemporanea di Roma. Altri capolavori furono gli interni di chiesa, dominati da grandi spazi e da profondi silenzi – tanto da anticipare certe atmosfere metafisiche -. Notevole, infine, fu un grande dipinto raffigurante La morte del Petrarca.