Un pittore
di Salvatore Paolo Garufi Tanteri
Nella chiesa di Santa Maria della Stella, a Militello in Val di Catania, c’è un quadro di Giacinto Platania (Acireale 1612 – 1691), un ingiustamente dimenticato pittore.
In verità, “ingiustamente dimenticato” egli potrebbe esserlo se avessimo usato l’aggettivo secentesco, perché nel generale pappagallismo culturale contemporaneo ci si dimentica che le politiche raffinatamente ciniche di quel secolo – ed il conseguente Barocco – nacquero sostanzialmente da quella vera e propria Rivoluzione Culturale che fu il Concilio di Trento.
In altre parole, sembrerebbe di essere davanti a una semplice Madonna della Stella, ma in effetti asi tratta dell’immagine di un potere temporale.
Non bisogna, infatti, guardare quest’opera soltanto pensando al sacro. Meglio vederla come il ritratto di una Regina che sta splendida e sicura sul trono. Il suo ruolo è mettere ordine nel disordine del mondo. Ella non indica il Cielo, ma pone un terrestre e concreto programma di governo.
Così, Re e Papi diventano i vassalli della agostiniana Città di Dio e, a cascata, gli innumerevoli notabili che affollano gli angoli sperduti del mondo ne diventano i valvassori e – volendo estremizzare – diventano valvassini i professionisti, i burocrati, i pirati, i preti e i monaci.
M’immagino che già qualche aulico professore mi dirà che l’ho fatta troppo facile. Il “pedante filologo” a cui alludeva il poeta futurista Vladimir Vladimirovic Majakoskij è sempre pronto ad alzare il suo esangue ditino.
Ma, la verità è che nel Concilio di Trento – di cui il quadro del Platania è una piccola icona – viene inventata la più micidiale macchina del consenso di tutti i tempi, l’unica che poteva battere – ed ha battuto – il vitello d’oro del capitalismo e i furori ideologici egalitari, ambedue nati dalla Riforma luterana – almeno, stando alla tesi di Max Weber -.
In altre parole, la Chiesa Cattolica in quell’occasione capì che c’è un Potere che passa – quello politico – ed un Potere che resta – cioè, l’Egemonia Culturale… concetto chiarito dal comunista Antonio Gramsci, ma nei fatti anticipato dall’organizzazione cattolica -.
Proprio perché la società è una realtà complessa e, per intima natura instabile, la Chiesa diventò il vero cuore dello Stato. Cuore mutevole e sempre uguale. Lasciò, insomma, giocare liberamente le contraddizioni di classe, portandole tutte al suo interno.
Se i gesuiti poterono occuparsi dell’alta cultura e gli agostiniani delle scuole, i cappuccini furono gli alfieri dei poveri, le confraternite i sindacati degli artigiani, i preti secolari gestirono le feste patronali e i riti privati (battesimi, nozze, funerali e messe domenicali), tutte cose che ricompattavano le masse. I predicatori domenicani, infine, furono gli specialisti della comunicazione e dell’inquisizione…
Da ciò deriva il mito alfieriano dell’anti-tiranno. Contro le burocrazie del notabilato rifiorisce continuamente in ogni angolo del mondo la leggenda di Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 1768 – Sant’Elena, 1821).
Un Napoleone può nascere anche dove Domineddio scordò le scarpe. Ed, infatti, è nato in Sicilia, nel paese più fuori posto del mondo, appeso ai margini di una Piana di Catania disseccata dal sole, dal vento di scirocco e dalla fatica malpagata dei contadini.
Lo può partorire la folla e la fantasia di uno scrittore, come fosse un capitolo della storia dei paladini di Francia, come fosse un Cristo uscito dalle pagine di un Vangelo sacrilego ed egoisticamente locale.
In fondo, tutti hanno il gusto del racconto epico, anche chi vede le parole scritte come tante formiche in fila, buone soltanto a far girare la testa. Ogni gruppo umano crea una letteratura, tramanda le sue leggende.
“La leggenda (di Napoleone)” scrive Ernesto Ferrero, “nasce e si sviluppa impetuosamente nel giro di pochi mesi. Il mito dell’eroe irrompe sulla scena europea con un impeto beethoveniano, ha il piglio di chi sconvolge i vecchi assetti e annuncia un’era di libertà. Vi concorrono i prodigi di vittorie imprevedibili e sfolgoranti, l’aura dell’invincibilità, il carisma magnetico, il decisionismo che dispone di uomini e cose con una disarmante naturalezza.” ( In “Il Sole 24 Ore Domenica” del 28 marzo 2021)