Garufi Tanteri, S. P., “Indagine su George Orwell”

Garufi Tanteri, S. P., “Indagine su George Orwell”

I

Il socialismo romantico  di George Orwell

di SALVATORE PAOLO GARUFI TANTERI

George Orwell nacque il 25 giugno 1903, a Motihara, nel Bengala. Ma, in verità, il suo nome giusto era Eric Arthur Blair – anche se il Thomas gli dà il secondo nome di Hugh [1] -.

Su di lui e sulle sue opere si sono lette le opinioni più disparate e cretine. Per il marxista J. Walsh, per esempio:

“Egli… corre strillando tra le braccia degli editori capitalisti con un paio di fumetti gialli che gli procurano fama e denaro” [2].

Mentre, un tantino più onestamente – e mestamente -, Irving Howe ha scritto:

“Nei confronti di certi libri sentiamo che la nostra riluttanza a riaprirli è la vera misura della nostra ammirazione [3].

D’altro canto, un po’ istrione Orwell lo era davvero. Forse, il destino del genio è proprio quello di essere un narcisista di talento. Gli insulti e le incomprensioni dei contemporanei, nell’epoca del Decadentismo e del conformismo ribellista, sono le sue medaglie.

L’andare controcorrente di Orwell, così, si accompagnò spesso a giudizi netti e privi di perifrasi diplomatiche. Per le categorie umane che gli erano antipatiche usò il rasoio del linguaggio. In aparticolare, coi cicisbei del politicamente corretto.

Non ebbe neppure la buona e borghese educazione di evitare gli accenni alle caratteristiche fisiche dei nemici. Abbondò nei diminutivi, tipo “ometto”, o nelle vere e proprie ingiurie, come “poeti effeminati”.

Chiaramente, le origini di questo estremismo furono molteplici e complesse; cosicché ogni sforzo di ridurlo ad una serie ordinata di fili conduttori appare impresa disperata, destinata a risultare sempre parziale, se non, addirittura, a deformarne la personalità.

Purtroppo non esiste un filo d’Arianna che ci guidi nel labirinto di quel manzoniano guazzabuglio che è il cuore umano.

Ma, che possiamo farci?

Tutti gli scrittori hanno bisogno di guadagnarsi la paga per il lesso – così la chiamava Carducci -.

Perciò, mi proverò a proporre un percorso di razionalizzazione – o, se si vuole, un modello d’incasellamento -. Mi sforzerò, cioè, di individuare i “perché” di certe azioni di Orwell e di seguirne la logica.

Richard Blair e Mabel Limouzin, i genitori, appartenevano a quella particolare sottoclasse, tipica della società inglese, formata dai membri delle amministrazioni coloniali e dagli impiegati delle compagnie commerciali che operavano in Oriente.

La loro, per usare un neologismo che per essa lo stesso Orwell inventò, era la “lower-upper middle-class”, costretta a trascorrere gran parte della sua vita lontana dall’Inghilterra, gente oppressa da:

“… un senso piuttosto complesso di alienazione nei confronti delle tradizioni culturali e sociali della madrepatria, di cui conservare una immagine irreale ma verso la quale continuava a nutrire una devozione molto profonda” [4].

Anche la situazione economica di questi funzionari dell’impero inglese era ambigua. Essi, se erano “sahib” nel Bengala, una volta in patria, dalla pensione non ricavavano mezzi sufficienti al mantenimento del livello di vita borghese cui restavano tenacemente attaccati.

Da qui il senso di estraneazione che nel giovane animo di Orwell diventava senso di rifiuto da parte della società (o almeno, dell’unica società che i suoi concepivano); in altre parole, l’alienazione diventava complesso di inferiorità.

Infatti, quando nel 1911 (nel frattempo, i suoi, nel 1907, erano rientrati in patria) fu iscritto al collegio di ST. Cyprian, Orwell trovò ad attenderlo una dura realtà.

Il St. Cyprian era una scuola di prestigio, aperta ai ragazzi che intendevano concorrere all’ammissione a Eton (il “Gotha” della cultura inglese) e dentro vi circolava ciò che era considerato il meglio della società “bene”.

I genitori di Orwell per iscriverlo si erano dovuti sobbarcare non lievi sacrifici economici, ma questo, più che riempirlo d’orgoglio, lo condannava al ruolo di povero, quello che secondo Shaw era:

“il peggiore dei mali, il più orrendo dei delitti” [5].

I ricordi del nostro scrittore – espressi in Such, Such were the joys -, infatti, sono questi:

“ I had no money, I was weak, I was ugly, I was unpopular, I had a cronic cough, I was cowardly, I smelt” [6].

Ma certo Orwell dovette esagerare un po’ nel descrivere questo periodo della sua vita, come ha sottolineato lo Zanmarchi che così ha scritto:

“È difficile però credere che la realtà sia stata tanto drammatica: la descrizione che Cyril Connolly, che fu suo compagno di classe, dà di ST. Ciprian in Enemies of promise è assai meno negativa e la figura di Orwell vi appare in una luce completamente diversa e normale” [7].

Personalmente penso, comunque, che a quel periodo risalga la fondamentale scissione che tormentò Orwell per tutta la vita. Forse nel suo odio verso il mondo di ST. Cyprian c’era una gran fame di dialogo. La sua povertà lo affliggeva nella misura in cui gli impediva d’inserirsi in quell’ambiente.

Era l’eterno problema dei “diversi”. La sua sensibilità, spasmodicamente acuita dalla tensione, gli facevano sembrare un’offesa gravissima, le scherzose ed infantili – e cattive, come tutte le cose scherzose ed infantili – allusioni sul suo stato da parte dei suoi compagni di studio.

Così, dal rifiuto che credeva di subire, nacque il sentimento d’alienazione ed il bisogno di superarlo.

Per questo, per tutta la vita cercò una nuova comunità umana.

Il nuovo spazio in cui sentirsi integrato lo cercò scendendo in basso nella scala sociale, nel proletariato e nel sottoproletariato.

Sposò, quindi, l’idea socialista (ma le divergenze, come vedremo, erano più forti delle convergenze).

Il suo socialismo, quindi, non fu un coerente e articolato sistema d’idee. Non aveva la pazienza del rivoluzionario, ma impugnava la sventolante bandiera del ribelle anarchico.

Per Orwell, “Essere socialista” era soprattutto un atteggiamento morale; era il rifiuto delle ingiustizie che l’Inghilterra borghese perpetrava ogni giorno e dalle quali, lui per primo, si sentiva vittima. Più disagio spirituale che ragionata scelta.

Per questo, in definitiva:

“Orwell fa parte di quella numerosa schiera di uomini che, privati di un solido sistema di vita, o di una fede, o avendo rifiutato quello che avevano ereditato, trovano la virtù in un genere di vita improvvisato, e in una affermazione d’indipendenza. In Inghilterra tale tradizione attrae molte delle virtù liberali: empirismo, una certa integrità, sincerità” [8].


[1] Cfr.: Edward M.Thomas, Orwell, Edinburg, Oliver and Boyd, 1971, pag. 2.

[2]J. Walsh, “‘George Orwell”‘, in Marxist Quartely, vol. 3, n. 1. gennaio 1956, pp. 35-36; citato in Raymond Williams, Cultura e Rivoluzione industriale, Torino, Einaudi, 1968, pag. 547.

[3]Irving Howe, “Orwell: la storia come un incubo”, in Politica e Romanzo, Milano, Lerici, 1962, p. 248.

[4]. Giovanni Zanmarchi, Invito alla lettura di Orwell, Milano, Mursia, 1975, pag. 19.

[5] Cit. in Stefano Manferlotti, Orwell, Firenze, Il Castoro, La Nuova Italia, Maggio 1979, p. 27.

[6] Cit. in Stephen Jay Greenblatt, Three modern satirists: Waugh, Orwell and Huxley, New Haven-London-Yale Univ.
Press, 1974, p. 53. Trad.: “Non avevo soldi, ero debole, ero impopolare, avevo una tosse cronica, ero vigliacco,
puzzavo”

[7] Giovanni Zanmarchi, op. cit., p. 22.

[8] Raymond Williams, op. cit., pag. 341.

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Pubblicato da IL GIORNALE DI ROCAMBOLE

Salvatore Paolo (detto Rocambole) Garufi Tanteri ha insegnato Lettere, Storia dell'Arte, Storia e Filosofia nelle scuole statali del Piemonte, della Liguria, della Campania e della Sicilia. Ha scritto opere di narrativa e teatrali ed è autore di monografie (Vitaliano Brancati, George Orwell, Santo Marino, Sebastiano Guzzone, Giuseppe Barone, Filippo Paladini).

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