In un’aura novecentista poté collocarsi il più noto della
schiera artistica catanese d’inizio secolo, Roberto Rimini (1888-1971), grazie
al quale si può tranquillamente dimostrare quant’è nevrotica l’oscillazione
dei giudizi critici.
Infatti, Rimini realizzò una serena rappresentazione del mondo rurale
con un disegno classico, netto, che demarca i colori e chiude e potenzia le
forme; particolare, quest’ultimo, che rende per lo meno opinabile il parallelo
che venne operato tra lui e Giovanni Verga, dato che sul versante tecnico
nello scrittore vi è qualche anticipo della deformazione espressionista.
Io, piuttosto, collocherei la pittura di Rimini accanto al vigore della
poesia carducciana, coerente con gli intenti della poetica di Berto Ricci,
direttore della prestigiosa rivista letteraria “L’Universale”. “Senza
l’eloquenza” scrisse Ricci, “che porta seco la cosa, la grazia e la precisione
nell’esprimersi, non c’è istinto poetico che tenga; e i sentimenti e i pensieri
più belli restano nebbia vagabonda.”(7)
Con ciò possono, per esempio, spiegarsi alcuni esiti monumentalistici
del Rimini, fatti che posero la sua opera in un itinerario anche fisicamente
vicino a quello che veniva seguendo Giuseppe Barone. Destinato, infatti, a
far mostra di sé accanto a un grande pannello di Barone raffigurante Il duce
a cavallo(8), Rimini nel ’33 dipinse per il palazzo della borsa un altrettanto
grande pannello “dedicato al lavoro nei campi, una delle attività italiche più
celebrate dal regime.”(9)
Nel ’39, inoltre, Roberto Rimini decorò la fascistissima Casa del mutilato
e forse per questo da morto è stato sottodimensionato. Così, se prima si
leggeva “sembra che Rimini abbia avuto l’incarico di illuminare i quadri degli
altri”(10), poi si leggerà “la pittura di Rimini rifugge dalla drammaticità, il
riferimento al mondo dei vinti è in fondo esteriore, e l’insistervi rivela
un’incomprensione – ma soprattutto il desiderio di individuare un interprete
pittorico dell’immagine, insieme nostalgica ed arrogante, del primato della
Sicilia rurale.”(11) Verrebbe da commentare che, per vecchio e tenace
pregiudizio romantico, la conoscenza e l’osservanza delle regole viene
considerata sinonimo di freddezza, o peggio attardamento tradizionalista.
Come se alla base dell’universo e dell’arte (che è, in fondo, un universo
parallelo creato dall’uomo) non ci sia sempre una logica, che in quanto tale
si cristallizza in regole.
Così, volendo ripercorrere i grandi lavori eseguiti da Giuseppe Barone
fino a tutto il 1941, dopo una veloce citazione di – Paesaggio etneo n. 1 del
1935 e Mucca nera del 1937(12), possiamo individuare nel 1934(?) La pietà, un
cartone per affresco(13); sempre nel 1934 un’altra Pietà, affresco, per la
città di Scicli, Cappella funeraria del Barone Penna; nel 1935 I due
evangelisti Giovanni e Luca, affresco, per Misterbianco, Chiesa Madre,
abside; nel 1936 L’Annunciazione, olio per la Chiesa Madre di Misterbianco,
Cappella della Madonna; nel 1937 Otto figure sacre, affreschi, San Gregorio,
Chiesa dei Salesiani, lunette; nel 1937 La fede, cartone per affresco con
prove di colore per la chiesa di San Filippo Neri di Catania(12); nel 1937 La
fede, affresco, Catania, Chiesa di San Filippo Neri, lunetta; nel 1937 La
speranza, affresco, Catania, Chiesa di San Filippo Neri, lunetta; nel 1938
Sant’Antonio e Figura (cartoni per affresco oggi nel Museo Civico ”S.
Guzzone”), l’affresco Martirio di Sant’Agata (per la chiesa catanese di San
Biagio), gli oli Santa Elisabetta e Madonna (per la chiesa di Santa Maria di
Gesù dei frati minori di Messina), oltre alla Crocifissione (olio su tavola,
presente nell’Archivio fotografico di Agostino Barone); nel 1939 la tempera
Beata MariaMazzarello (il cartone Angeli, oggi nel Museo “Guzzone”,
riproduce un particolare), Sacro Cuore (olio, pala d’altare, Messina, Chiesa
del SS. Salvatore), Pesce, vaso e limoni (1939?, olio, Archivio fotografico di
A. Barone); nel 1940 Ragazza n. 1 (disegno, in Retrospettiva…); nel 1941 La
Madonna della guardia – L’apparizione (olio, Misterbianco, fraz. di Borrello,
Chiesa parrocchiale) e La lava che minacciò Borrello nel 1910 (Archivio
fotografico di A. Barone).
Note
- 1931/1934 – Sant’Antonio – La Pentecoste, affreschi, Nicolosi,
Chiesa Madre, cupola ed abside; - 1934(?) – Il cardinale Dusmet fra il popolo dopo la lava, olio, quadro
laterale, Nicolosi, Chiesa Madre, Cappella del Crocifisso; - 1934 – L’orazione nell’orto, olio, quadro laterale, Nicolosi,
ChiesaMadre, Cappella del Crocifisso; - 1934 – Deposizione, olio, quadro laterale, Nicolosi, Chiesa Madre,
Cappella del Crocifisso; - Rossana Boscaglia, Sironi e il “Novecento”, Art e Dossier, Inserto
redazionale allegato al n. 53, Firenze, Giunti, gennaio 1991, pp.13/20; - AA. VV., Storia dell’arte italiana, diretta da Bertelli-Briganti-
Giuliano, vol. IV, Milano, Electa-Bruno Mondatori, 1992, p. 471; - Berto Ricci, Lo scrittore italiano, Roma, Ciarrapico, 1984, p. 53;
- 1936 (?) – La carta del lavoro, olio su tela, Catania, a suo tempo
collocato nella sala del consiglio del palazzo dell’Economia Corporativa, ora
palazzo della borsa – Camera di Commercio; - Antonio Rocca, L’arte del ventennio a Catania, Catania, Magma,
1988, p. 171;
10.Militello, Museo “S. Guzzone”; - Vitaliano Brancati, Presentazione di una collettiva tenutasi a
Catania nel 1937, cit. in S. N., Rimini Roberto, in Enciclopedia di Catania, op.
cit., p. 241;
12.Olio su tavola, cm. 40×40, Archivio fotografico di A. Barone e in
Retrospettiva…; - Giuseppe Frazzetto, Solitari come nuvole, op. cit., p. 105;