




Cesare Landi
















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Un articolo della Fondazione Memofonte onlus
Studio per l’elaborazione informatica delle fonti s
torico-artistiche
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L’INCISIONE ITALIANA DELL’OTTOCENTO
(Giovanni Fattori)
Lamberto Vitali, «Domus», 28, aprile 1930, pp. 32-3
4, 70.
Il Settecento è il secolo dei pazzi per l’incisione
. Grandi collezionisti tengono
corrispondenza con mezz’Europa per scovare un fogli
o raro che manca alla loro raccolta; amatori
come il Conte di Caylus, letterati come l’Argarotti
, belle dame e favorite come la Pompadour
adoprano con disinvoltura la punta e la lastra e ri
escono ad imbroccare qualche stampa ben saporita.
Editori e mercanti non si contano e il commercio de
lle incisioni, dalle umili immagini di divozione
ai fogli più preziosi, è prospero come non mai.
Il Settecento è il secolo che ha con ricerche pazie
nti e accanite rinnovate le tecniche; i nuovi
processi – il pointillé – godono subito della più g
rande fortuna e le loro risorse sono sfruttate fino
in
fondo da una legioni d’artisti.
E, per l’Italia, il Settecento è ancora un secolo f
elice: nella stampa di riproduzione il Faldoni
e il Pitteri mettono a servizio del loro gusto inte
rpretativo una sbalorditiva perizia di bulinisti.
Nell’incisione originale, bastano i nomi dei tre Ti
epolo – G. Battista, Domenico e Lorenzo – con
l’esuberante fantasia decorativa delle loro composi
zioni, del Canaletto con le vibrazioni argentine
delle sue vedute di Venezia e del Brenta, del Bello
tto, del Longhi, del Piranesi, acquafortista
peritissimo e immaginoso, tragico trasfiguratore de
i monumenti dell’antichità romana. Ed è
d’italiani tutto un gruppo di incisori, quello del
Bartolozzi e della scuola, che in Inghilterra tradu
ce
la grazia superficiale e un po’ dolciastra dei «fan
cy subjects» e gode sul finire del secolo di onori
e
di successi non soltanto artistici.
Ma a questo punto gli italiani sembra che abbiano r
otto i loro torchi; c’è sì un gruppo di
bulinisti, quello che discende dal Morghen e dal Lo
nghi, che si delizia a tradurre sulla lastra con
freddo e meccanico mestiere le grandi composizioni
pittoriche e continua a vegetare, sempre più
fiaccamente, ma pure fra gli osanna dei contemporan
ei, per buona parte dell’Ottocento. Ma questa è
arte morta prima di nascere e non conta se non come
documento dell’incomprensione generale: la
ripresa di vitalità dell’incisione italiana verrà d
a un’altra parte.
Mentre il progresso dei mezzi meccanici dava il col
po di grazia all’incisione di riproduzione
– quella che diffondeva e popolarizzava a migliaia
di fogli le opere dei pittori, degli scultori, degl
i
architetti -, l’arte italiana si rinnovava e da que
sto rinnovamento anche l’incisione originale usciva
rinata. Essa tornava a chi forse aveva poca dimesti
chezza con i procedimenti tecnici, ma a chi in
compenso aveva una sua parola da dire, una sua emoz
ione da manifestare: questo in arte è sempre
stato l’essenziale.
In chi si occupa di stampe – di farle, di commentar
le, di raccoglierle – c’è spesso la mania di
credersi e di voler farsi credere il fortunato iniz
iato a un culto segreto e misterioso, al quale il
profano non può accostarsi se non dopo aver dato lu
nga prova d’esserne degno. Io non conosco cosa
più ridicola di questa: bisogna dire ben chiaro, a
dispetto di quelli che si credono i custodi del
tempio, che l’incisione deve naturalmente esser giu
dicata come un’altra qualsiasi opera d’arte, come
un dipinto, come una scultura. Non c’è proprio ness
un segreto da scoprire, tanto è vero che
l’incisione originale così intimamente legata alla
pittura e alla scultura che la sua storia s’indenti
fica
sempre con quella delle arti maggiori. Così a propo
sito dell’incisione italiana dell’Ottocento,
bisognerebbe parlare dei movimenti pittorici contem
poranei, dei macchiaiuoli, dei romantici
lombardi ecc.; l’origine è una sola e tanto nell’un
o come nell’altro campo i protagonisti sono gli
stessi e quello che essi hanno detto nella tela, l’
hanno poi ripetuto nella lastra, ma, naturalmente –
qui soltanto sta la differenza – con un modo di esp
ressione
appropriato alla materia.
Nel dar conto in breve della produzione grafica del
secolo passato, non rifarò la storia dei
movimenti rinnovatori; ognuno di noi l’ha ben prese
nte ormai, dopo questi anni di tenace
rivalutazione ottocentesca. È meglio dunque parlare
delle maggiori figure, per cui l’onore italiano
fu salvo; con quest’ultima frase voglio dire che ne
l suo complesso l’incisione italiana dell’Ottocento
mal regge in confronto, ad esempio, con la mirabile
fioritura francese, che s’inizia con Ingres e
Delacroix per chiudersi con Gauguin e Toulouse Laut
rec e che conta fra mezzo alcuni dei più
completi e complessi incisori di tutto il passato.
Una figura si stacca dalle altre e le avanza di gra
n lunga: quella di Giovanni Fattori. Altri
certo fu più esperto di lui, se per perizia s’inten
de sfruttamento paziente dei piccoli segreti della
vernice e della morsura, ma nessuno del suo tempo d
isse una parola più definitiva, con una forza
così rude e sincera. Delle centottanta lastre ch’eg
li lavorò, non ve n’è una sola, credo, fatta con il
proposito di esporla o di farne commercio, tant’è v
ero che di molte egli non ne curò nemmeno la
stampa, sì che ci giunsero inedite o quasi dopo la
sua morte.
Come nelle tavolette, qui il Fattori si abbandonò a
un intimo colloquio e diede certo il
meglio di sè stesso con assoluta sincerità; vi ripr
ese vecchi motivi, che tornano insistenti in tutta
la
sua opera, e sviluppò brevi, sintetici appunti dei
suoi taccuini. Ed egli .espresse ancora una volta i
l
mondo che sempre gli fu caro: quello della natura l
ibera e selvaggia della maremma o calma e
serena della campagna toscana. Vera forma di natura
egli stesso, dalla natura egli estrasse, come
ogni artista di classe superiore, l’essenziale; cos
ì la sua opera, pur con aspetti di inconfondibile
regionalità, assurse all’assoluto. Nel bove bianco
aggiogato alla fatica dell’aratro e del carro, nell
a
gabrigiana dell’incedere solenne e maestoso come qu
ello d’una divinità agreste, nel cavallo brado
pascente in maremma fra stoppie e acquitrini, nei v
iottoli solitari di campagna ombreggiati da siepi
di verdura, egli trovò i soggetti semplici e elemen
tari ma eterni: e nella loro rappresentazione,
spoglia d’ogni pecca anedotistica e letteraria e co
ndotta con un segno nervoso, che non ha niente di
piacevole e di facile, ma veramente scolpisce e sca
rnisce, egli seppe fare del bove toscano dalle
lunghe corna,
il bove, e, della stepposa campagna maremmana,
la campagna.
Per convincersene, s’ha da guardare, ad esempio, i
«Bovi al giogo» dove le sagome bianche
delle bestie s’incidono sul fondo nero, quasi uscis
sero da una teoria d’animali d’uno stilizzato
bassorilievo egizio.
E di come sia risolto il problema della luce, con u
n segno spezzato virgolato, che ricopre
tutta la lastra così da dare una vibrazione argenti
na e splendente – che ricorda, se pure con maggiore
intensità e crudezza, quella del Canaletto – testim
onia in modo efficace l’acquaforte dei «Bovi al
carro (In maremma)», dove alla massa bianca dei buo
i e dei covoni di grano fa contrasto il grigio
del cielo, percorso dall’accavallarsi delle nubi te
mporalesche, e il grigio della campagna squallida e
sterposa.
Molto care mi sono anche le piccole lastre, dove il
Fattori è più tenero e dove la sua forza si
piega a gentilezze squisite; riproducono esse certi
deserti viottolini di campagna, fiancheggiati dagl
i
ulivi o chiusi dai gran fiori neri dei pini italici
, colti in quell’ore meridiane, in cui il paesaggio
si fa
grave e solenne, o di mattina, quando tutte le cose
hanno la breve levità della giovinezza. È forse,
questo aspetto idilliaco, dei meno noti e dei più i
nsospettati dell’opera grafica del Fattori.
Ed è giusto aggiungere che tecnicamente il Fattori
non fu figlio di nessuno, perché, come
tutti gli artisti originali, il suo linguaggio graf
ico non lo chiese in prestito, ma se lo trovò da sè
,
logico e naturale modo d’espressione. Nè ricercò ma
i nella lastra, pur traducendovi spesso le sue
opere pittoriche, effetti che fossero in contrasto
con la natura del bianco e nero, che anzi comprese,
o, meglio, intuì, come ben pochi altri incisori ita
liani dell’Ottocento. E questo, anche, agli occhi d
e i
puristi, deve esser un titolo di merito.
Nota.
Nella serie d’articoli, che s’inizia con questo nu
mero di «Domus», si parlerà
dell’incisione italiana dell’Ottocento e sopratutto
di quella d’oggi. Presuppongo nei lettori una
conoscenza tecnica dei processi d’incisione, almeno
generica. Certo non mi sarebbe qui consentito
di spiegare cosa siano l’acquaforte, la punta secca
, la maniera nera, l’acquatinta, il bulino, la
litografia ecc.; ma chi vorrà orientarsi in questa
materia e averne qualche elementare ma sufficiente
nozione, potrà consultare il manuale di Pier Antoni
o Gariazzo «La stampa incisa » (Ed. S. Lattes &
C., Genova, lire 30).
Storie generali italiane dell’incisione italiana pu
rtroppo non esistono finora; l’editore Treves
annunzia di prossima pubblicazione un volume su que
sto argomento di Augusto Calabi. Intanto
raccomando due ottime monografie, chiare, precise,
bene illustrate: quelle di Paul Kristeller
«Kupferstich und Holzschnitt in vier Jahrhunderten»
(Ed. Bruno Cassirer, Berlino, 1921) e di A. M.
Hind «A history of engraving and etching» (Ed. Cons
table & C., Londra, 1923). La ricca
bibliografia contenuta specialmente nel volume dell
’Hind è di prezioso aiuto a chi vuole iniziarsi a
questi studi.
Consigli per la formazione di una raccolta di stamp
e, come è facile capirlo, non se ne
possono dare: e, per quanti se ne diano, chi cominc
ia deve sempre pagare il suo noviziato. Ma ecco
cosa mi sentirei di raccomandare:
Limita il tuo campo. È finito il tempo felice per i
l collezionista: il tempo dei Mariette e dei
Crozat, del Malaspina e dei Lanna. Una sola incisio
ne primitiva italiana, per esempio, può assorbire
le tue risorse presenti e future. Occorre quindi ch
e tu rinunzi all’idea di farti una grande, completa
raccolta, se non disponi di mezzi eccezionali.
Dedicati sopratutto alle stampe dei pittori incisor
i. Sono sempre questi i fogli che danno un
più alto godimento. Non potendo avere una pinacotec
a, avrai almeno una raccolta di incisioni dei
tuoi artisti; il tuo piacere sarà più raffinato e s
quisito.
Sii uomo del tuo tempo. Sappi prevedere oggi quali
saranno i classici domani. Esercita il tuo
spirito critico e fa una scelta ragionata e priva d
i preconcetti. Lascia sorridere: verrà il momento c
he
tu avrai ragione.
Se raccogli stampe antiche, scegli soltanto gli ese
mplari di fresca tiratura e in stato perfetto.
Una prova fiacca è appena un’ombra di quella che do
vrebb’essere; priva dei margini o mutila non
ha nessun valore commerciale.
Rispetta la stampa. Custodiscila nelle cartelle che
la difendono dalla luce. Il sole è un lento
ma inesorabile distruggitore della carta e dell’inc
hiostro.