Vasi pre-ellenici nel Museo “Paolo Orsi2 di Siracusa.
Arte pre-ellenica nelle Terre del Simeto
di Salvatore Paolo Garufi
Per avere consistenti espressioni artistiche nelle vicinanze di Catania bisogna aspettare il neolitico medio (3.000 a.C.), quando si affermò la cultura di Stentinello (villaggio nei pressi di Siracusa).
La sua ceramica è riconoscibile per le decorazioni impresse. Con esse si suggerisce e si esalta la forma del vaso (in un certo senso, è come se con la decorazione venga definito l’oggetto, sottolineandone una sorta di forma assoluta).
E’, questa, al contempo, un’operazione figurativa e pure lo svolgersi di un discorso filosofico. Si va verso i concetti geometrici, che sono un’astrazione delle forme: una cosa che non esiste nella realtà, ma esiste come messa in ordine e comprensione della realtà. Le linee sono un ritmo disegnato sull’oggetto, come mil rumore è ritmo disegnato nell’aria.
Probabilmente erano presenti espressioni non spregevoli di tale cultura in contrada Oscina (Tra Lentini e Militello), stando ai reperti ceramici riconoscibili per le decorazioni impresse, provenienti da corredi funerari.
Infatti, momento importantissimo della cultura di Stentinello fu il culto dei morti. Con essa i cadaveri vennero inumati individualmente nella cosiddetta cista-litica, un recipiente a forma di scatola seppellito nel terreno ed, in genere, delimitato da ciottoli e pietre.
Questo particolare mette in diretta connessione la cultura di Stentinello con la greca civiltà micenea, dove:
“Per quanto riguarda le forme architettoniche funerarie dobbiamo innanzitutto ricordare la più antica e diffusa: la tomba a cista, una fossa quadrangolare foderata con lastroni di pietra, in cui erano inumati più individui in posizione ranicchiata. In seguito, le sepolture si presentano come fosse allungate che accolgono i defunti in posizione supina.”(1)
Per il periodo successivo, va ricordato un vasetto anch’esso trovato ad Oscina e citato da Bernabò Brea, oggi nel Museo “Paolo Orsi” di Siracusa.
Il manufatto è decorato e graffito dopo la cottura e presenta analogie con la ceramica dello stile di Piano Notaro (prima del 1.800 a.C., nell’età eneolitica).
Ma, le prime, consistenti testimonianze archeologiche nel territorio di Militello si trovano a partire dall’età del Rame.
Infatti, appartengono a quest’epoca i resti di “alcune capanne delimitate da stretti fossati ed una tomba a pozzetto”, individuati in contrada dosso Tamburaro(2).
Più recentemente, inoltre, resti simili sono stati trovati in contrada Fildidonna, su un pianoro prospiciente dosso Tamburaro.
La morte, però, è riuscita ad attraversare meglio i secoli, se si pensa che in contrada Annunziata possiamo ammirare alcune tombe della cultura di Castelluccio (tra il 1.800 ed il 1.400 a.C., nell’età del bronzo antico).
Così, sparse nel contado di Militello si trovano diverse necropoli di quel periodo. Nel pianoro di Santa Barbara, per esempio; oppure nella collinetta di fronte alla contrada di San Vito, dove le grotte per sepolture probabilmente appartengono all’età del bronzo.
Paolo Orsi chiama tale cultura “primo periodo siculo” e Luigi Bernabò Brea esclude che i suoi portatori fossero dei siculi.
La vera e propria cultura dei siculi, invece, è rappresentata a Pantalica ed appartiene all’età del bronzo recente (1.250 a.C.) La cultura di Castelluccio, infatti, non ebbe alcuna affinità con quella dell’Italia peninsulare, da cui provenivano i siculi. Contiene, piuttosto, elementi greco-anatolici e, quindi, indica un’origine orientale.
Essa si estese nella parte sudoccidentale e meridionale dell’isola. Tutto sommato fu una cultura unitaria, anche se in base alla decorazione ceramica possiamo distinguervi due diverse “facies”.
Le tombe furono scavate nella roccia calcarea, secondo una forma ovale, raramente raggiungendo, o superando, i due metri.
Le piccole porte d’ingresso (al di sotto del metro, tra i 70 ed i 90 cm.) venivano chiuse con murature a secco, o con portelli di pietra, che potevano essere decorati a rilievo, con motivi spiraliformi (ed a tal proposito è interessante sapere che Bernabò Brea notò la vaga analogia che questi portelli presentano con le sculture dei templi maltesi dell’età di Taxien, anche se queste sono artisticamente superiori e cronologicamente più antiche).
Vi si trova una ceramica, che si caratterizza per le linee nerastre su fondo giallino o rossastro (qualche volta è possibile trovare ritocchi biancastri). Le forme ed i motivi si ripetono: grandi anfore biansate, vasetti gemini a saliera e così via.
La forma più comune nel territorio di Militello è il vasetto trilobato e monoansato, oltre alle ciotole più o meno povere. Vi troviamo, comunque, tracce di un periodo in cui la civiltà mediterranea si espandette politicamente ed economicamente, giungendo a contatto con paesi lontanissimi. Con la mediazione della Francia e della penisola iberica, infatti, questa civiltà arrivò fin verso le isole della Gran Bretagna, poiché dalla Cornovaglia veniva lo stagno per ottenere il bronzo.
Note
1. Gillo Dorfles-Cristina Longhi-Chiara Maggioni-Maria Grazia Recanati, Arti visive, vol. I, Atlas, Bergamo, 2000, p. 52;
2. Maria Grazia Branciforti, Il riposo del guerriero, in Militello in Val di Catania, suppl. al n. 6 di “Kalos”, Edizioni Ariete, Palermo, Novembre-dicembre 1996, p. 2.